E che non ha forma

È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.
(Guido Gozzano, Alle soglie)

fuochi fatuiTra il 5 e il 7 settembre, la cittadina bellunese di Feltre ospita la seconda edizione (o prima, se si vuol considerare quella dell’anno scorso un esperimento, ben riuscito) del festival FUOCHI FATUI, a cura dell’associazione “Visioni”. Tra gli artisti in mostra, Sara (sotto a dx) e Caterina (sx), vecchie conoscenze dei Gufi e tra le animatrici dello Studio Fludd, proietteranno sulla torre qualcuna delle proprie eteree lunatiche sideree eppur carnali opere.

gabellimaragotto

 

Vivo, prendo parte

aperteOdio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. gramsci
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917

Civetta in SOL

L’immagine rinnovata della testata ospita la consueta rapace notturna in compagnia di un gomito. Esso appartiene a Gino Paoli, cantautore che non ascolto. Ma, in questa foto, mi sta simpatico. Quella cosa degli amici al bar, poi, forse è anche vera.
L’ho scovata in questo sito, una sorta di raccolta di memorabilia.
Sempre da essa, anche l’immagine del vagamente perplesso (ma mai come la civetta) Pablo Picasso, qui sotto.

CivettaPicasso

Notte dopo degli esami

A pensarci bene, non riesco a ricordare nulla della mia Maturità.
Due cose, a dire il vero, sì. Poi le dico. Ma il resto: l’atmosfera di tensione, la temperatura del grande corridoio del Cornaro, chi faceva da vigilante, chi avessi ai miei lati… Nulla.
Va beh. Son passati solo ventanni, circa. Devo ancora entrare nella fase “tribute to Alois Alzheimer” (con tutto il rispetto per chi c’è dentro) e quindi i ricordi non troppo lontani rimangono annebbiati. Ma mi chiedo il perché di questa notte della coscienza.

Mi costruisco una risposta: non fu quell’esame, come del resto non fu l’ultimo anno del Liceo (e neppure gli altri quattro e nemmeno le medie – ah, infauste medie! Di esse rimane solo una persona, grande, Fausto Angeli ) un’esperienza di ordine emotivo. Non fu un momento segnato da presenza e con-presenza emotiva. Lavorava, e male, solo la testa. E solo la mia testa, da sola. Allora, che io sappia, nessuno parlava di “analfabetismo emotivo” per gli adolescenti e i giovani. Ma non vedo perché non ci potessi rientrare anch’io, del tutto.

Quindi, nulla da segnalare nel cassetto della memoria con l’etichetta “Maturità 1992”. Se non due flash: un grandioso tema sui Crepuscolari (le buone cose di pessimo gusto), in cui mi gettai in funambolici collegamenti con il Montale, poeta sacro alla mia cara prof. Il nesso fu per lo più ignorato: mi si fece notare che in italiano non si dice “all’inizi” del secolo. Corretto. Ma nessuno mi chiese se mi fossi divertito a scrivere quelle facciate. E io avevo goduto come mai nel farlo.

Il secondo momento, drammatico: la domanda della commissaria esterna di filosofia, su Marx, Proudhon e Saint Simon: l’uomo e lo Stato. Più che un quesito, un messaggio politico trasversale rivolto al mio docente di filosofia, notissimo ultra conservatore. Fui un pingue vitellino sacrificato sugli ultimi sbrecciati altari dello scontro ideologico. Scalciavo e scalciavo, non sapendo che il mio destino era segnato.

46 sessantesimi. 75 e spiccioli nella valuta corrente. Al solito: senza infamia e senza lode.
Ai “miei” Ragazzi, un caro augurio. E’ un esame e come tale appare insormontabile, inutile e isterico. Le tre I sono queste. Ma come sempre troverete il modo di renderlo una cosa divertente da raccontare. In bocca al lupo, di cuore. Ricordatevi che la vostra intelligenza è divina. Mica lo dico io, lo diceva Aristotele.

lettera ad Internazionale

La rivista settimanale Internazionale ha pubblicato questa mia missiva, nel numero in edicola da venerdì 31 maggio c. a.

Caro Internazionale,
sono un insegnante di filosofia e storia e la classe quinta di cui sono coordinatore si è abbonata a te, in quest’ultimo suo anno di scuola.
Abbiamo spesso, dribblando e integrando il fatidico mai terminato “programma”, discusso a partire dai tuoi spunti e dalle tue analisi.
Abbiamo discusso di nozze gay e di interruzione volontaria di gravidanza, di neofascismi e di fatica della democrazia rappresentativa, di imprenditori suicidi e di senso del lavoro oggi, in Italia, per i giovani e non. E anche di scuola, di come la struttura arranchi, di come la variabile interesse sia marginale, di come esista una sorta di dittatura del manuale nell’era dell’accesso totale alle informazioni.
Non so se abbiamo fatto un buon lavoro. Non lo so davvero, perché non so come andrà l’esame di Stato. E se la classe di cui sono coordinatore sarà ascoltata per la sua intelligenza (anzi, le sue intelligenze, come ci ricorda Gardner) o se invece sarà classificata come una delle scuole dei ricchi e quindi elitaria, costituzionalmente marginale.
Già, perché la classe di cui sono coordinatore è una quinta in un Istituto salesiano, una di quelle scuole che vengono chiamate private e invece sono pubbliche paritarie. La mia è una funzione pubblica e il mio primo riferimento è la Costituzione, non il magistero ecclesiale.
Caro Internazionale, vorrei che tu insistessi nel costruire un dibattito serio sulla scuola in Italia, nel quale al centro ci siano i ragazzi e la loro formazione, nel quale le scuole “private” non possano nel modo più assoluto permettersi di danzare sulle ceneri della scuola statale (che mi ha formato), nel quale ogni istituto venga valorizzato per quel che può dare, nel quale le ragioni ideologiche lascino spazio alle argomentazioni ragionevoli, nel quale si abbandoni l’idea del monopolio dell’educazione, da una parte e dall’altra.
Grazie, mille di queste settimane, Giovanni Realdi – Padova

Dacca, Bangladesh

La macchina informativa triturerà nuovamente queste notizie e, con loro, questa immagine. Tra qualche giorno sarà già passato. “E’ tutto passato” si dice ai bimbi, dopo un grande spavento. E noi, come bambini, ci spaventiamo e poi torniamo a giocare.
Ma la dignità di queste persone, la vita di questi lavoratori, la loro morte, non è gioco.
Il sistema che anche noi contribuiamo a realizzare ha ucciso queste persone.
Che cosa deve succedere perché il lavoro torni ad essere questione umana?

E i torturati

in grumi neri

inutilmente

urlano.

(D. M. Turoldo)

Taslima

La foto simbolo di Dacca, Bangladesh – Il Post.