Simposi in tempo di DaD#2

Secondo: Venerdì_8_maggio_15.30@Zoom

L’attualità chiama. Le discipline scolastiche sono «sepolcri e tombe di dio» parafrasando Nietzsche. E allora, via. Lo spunto e filo conduttore è costituito da questo articolo tratto da L’ATLANTE della Treccani, la fonte è quindi autorevole.

La tesi della sociologa Eva Illouz è chiara e drastica: solo lo Stato può affrontare una crisi come quella in corso. Non il capitalismo, non i privati, non i singoli. Che cosa accade? A questo punto la parola a noi.
L’individuo pensa a se stesso, è fisiologicamente egoista: ci vuole qualcosa che lo costringa a non esserlo, qualcosa che lo induca a non esserlo. Che al limite lo convinca. E’ questo il senso della legge?

Lo Stato possiede sia le CAPACITA’ di agire, che le MOTIVAZIONI per agire al di sopra dei singoli individui, e dovrebbe farne cittadini. Qui già potrebbero giocarsela Hegel e Marx.
Ma viene in mente Ortega y Gasset:

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Sì, è una citazione lunga (da La ribellione delle masse), non buona per palati annoiati. Eppure rappresenta un’altra delle intuizioni del filosofo spagnolo, che scrive negli anni Venti, e che anticipa lo Stato omnicomprensivo nella sua forma totalitaria, ma anche in quella assistenzialistica.

La domanda emerge: e se questa crisi chiedesse qualcosa di più dello Stato? L’Italia è stata supportata a livello solidale da altri paese, l’Italia è stata supportata dalle istituzioni europee e dalla BCE. In un mondo globalizzato, lo Stato-nazione non può permettersi di muoversi da solo.

Ci siamo chiesti: perché strategie differenti nei paesi europei? (la sociologa critica l’ipotesi iniziale adottata in Inghilterra e Francia in cui (citazione) sacrificare la vita di molte persone anziane e vulnerabili o sacrificare la sopravvivenza economica di molti giovani e indipendenti. Qui già emerge la tesi dell’autrice: il profitto soprattutto.
Ma anche: Perché la differenza nella concessione di libertà di spostamento, tra Italia e Svezia? La risposta (una delle) possibile: c’è un differente senso civico, i governi possono affidarsi diversamente alla responsabilità personale (vedi, come indicatore, l’evasione fiscale).

Adottando una lettura marxiana al testo della sociologa, ne viene che lo Stato, rappresentando il collettivo, si trova a dover affrontare la diminuzione delle risorse per la sanità (ma vale anche per l’istruzione), perché i governi hanno aderito a strategie tese a proteggere il profitto dei privati, secondo il dogma neoliberista.

Di qui una osservazione giuntaci dai social della formazione politica POSSIBILE: Sapete cosa succederà se il governo non investirà nella scuola pubblica? Succederà che le scuole private offriranno, a caro prezzo, ma con i contributi statali, un servizio “sicuro”. Classi più grandi con meno alunni, più insegnanti e professori, la sicurezza sanitaria.
Dunque, privato a spese del pubblico. Di principio condivisibile, per ora non affronta il problema delle materne, per le quali l’apporto privato è per noi insostituibile.

La domanda dunque è questa: come gestire le risorse? La politica deve operare delle scelte. Ma su quali basi?

Se il criterio fosse semplicemente il consenso? Se si guardasse alla fascia sociale (ceto medio) più numerosa per accaparrarsene i voti? In Italia si tratterebbe della popolazione anziana. E dunque si spiegherebbe la fatica ad investire nell’istruzione e nelle politiche giovanili. Siamo tuttavia di fronte ad un problema strutturale dei contesti liberal-democratici, lo stesso degli anni Venti in Italia e Trenta in Germania, prima della svolta autoritaria: individuare ciò che la popolazione teme o vuole e battere su quel tasto.
Eppure, non è diverso da quanto successo con la BREXIT. Lo abbiamo visto in classe e ora torna utile.

A questo punto, il filone politico si attenua.
La lettura dell’articolo ci porta a chiederci cosa significhi ZOONOSI e a cercare qualche richiamo darwiniano, a proposito delle analogie strutturali uomo-animale.

Ma la questione scientifica ritorna politica, perché l’informazione ha dato modo di vedere numerosi virologi che portano, in TV, tesi contrapposte. Qui il virus è altro. Perché questo disaccordo? Perché l’informazione pubblica cerca il conflitto, la novità, l’inedito? Quali portatori di interessi stanno dietro gli scienziati che interpretano i dati?
Certo: nella comunità scientifica discussione e conflitto sono la norma. Lo scienziato cerca il confronto, se è onesto. Ma che cosa comprende, l’italiano medio, di queste discussioni? Il suo approccio, forse distorto da un certo analfabetismo funzionale, non è quello di desiderare di capire. Gli italiani non sono vulcaniani privi di emozione: cercano piuttosto le lacrime o le risa.

E’ solo un nostro problema, questa fatica di far luce? Non sembra, ascoltando l’intervista (patetica) all’ambasciatore cinese a Londra, al video di cui al LINK, la cui indicazione ci porta alla conclusione. Come sempre, aperta.

[Hanno partecipato Gloria, Sofia, Angela, Roxana]

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