Immagini di guerra

Questo breve excursus ha l’obiettivo di riunire, collegandole, alcune modalità  di raccontare il cosidetto primo conflitto mondiale, la “Grande Guerra”. La finalità è pertanto didattica e non contempla l’esaustività : si tratta di alcuni scatti, parole, voci, video. Una fenomenologia parziale, in continuo possibile aggiornamento, che tuttavia permette di percepire e comprendere la Prima Guerra Mondiale al di là  della conoscenza nozionistica degli eventi che l’hanno costituita.

1. L’annuncio giornalistico dell’entrata in guerra dell’Italia.

Il “Corriere della sera” è il maggior quotidiano italiano. Sotto la dirigenza di Luigi Albertini si schierò dalla parte dell’impresa di Libia e dell’intervento italiano a fianco dell’Intesa. Alcuni storici sostengono come questa seconda presa di posizione fosse congiunta con gli interessi di parte del mondo industriale italiano, lanciato da un lato a svincolarsi dall’aggressività  dei capitali tedeschi, dall’altro a sfruttare la guerra come immane occasione di “domanda forzosa”.
Scrivono De Bernardi e Guarracino (I saperi della storia, 3A; Bruno Mondadori; p. 34):
«Da questa esigenza era animato per esempio il gruppo Ansaldo dei fratelli Perrone. In generale, comunque, i grandi gruppi industriali, ampiamente rappresentati nella compagine governativa, vedevano nell’intervento un’occasione di sviluppo economico e di crescita del prestigio internazionale dell’Italia. Di queste posizioni si fece portavoce il più autorevole e diffuso quotidiano nazionale».
Di diverso parere è lo storico e giornalista Sergio Romano, che in quest’articolo sottolinea piuttosto la critica albertiniana a Giolitti: poiché costui si manteneva neutralista, Albertini si schierò per l’intervento, occasione di maturazione politica per la nazione:
«Si potrebbe sostenere, con una evidente forzatura, che fu per la guerra perché Giolitti era neutralista. Ma sarebbe più saggio ricordare che la guerra gli sembrò giusta e utile perché avrebbe cambiato la politica interna e risvegliato nel Paese le sue migliori tradizioni risorgimentali. In secondo luogo vide nell’ intervento una prova d’ esame, il momento che avrebbe ridato autorità  allo Stato, completato il processo di unità  nazionale, garantito al Paese il posto che rispondeva ai suoi interessi e alle sue ambizioni. Ma non fu né militarista né imperialista».

2. L’entusiasmo futurista per il conflitto

La guerra tra le nazioni, elemento necessario nella dialettica dello sviluppo della storia, era per G. W. F. Hegel come il vento che consente all’acqua di non imputridire.
Medesima funzione igienica le riconoscono i Futuristi, che in questo manifesto sintetizzano concettualmente e visivamente la contrapposizione tra due modi di intendere l’ethos, il carattere fondamentale di una nazione. Lanciare l’Italia nel gorgo virile della battaglia significava appoggiare le forze creative emergenti, schematizzate in maniera forzosa nelle caratteristiche dei popoli combattenti a fianco di Inghilterra e Francia, necessariamente vincitori contro il tetro passatismo degli imperi tedescofoni.
Nel “Manifesto del Futurismo”, Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, con toni niciani, elogia la trasformazione sociale e mentale che è imposta dall’era delle macchine che si sta aprendo con il nuovo secolo. Anche la guerra è quindi occasione di rinnovamento. I Futuristi rappresentano quella parte di gioventù intellettuale che, a 50 anni dall’Unità , chiede il cambiamento, lo svecchiamento.

Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si e arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità . Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…. un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia (…). Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte
le tradizioni; come ponti fradici!… La guerra ?…
Eb
bene, sì : essa è la nostra unica speranza, la nostra
ragione di vivere, la nostra sola volontà !… Sì, la
guerra ! Contro di voi, che morite troppo lentamente,
e contro tutti i morti che ingombrano le nostre strade!“.

3. La Guerra di Piero

E’ dolce morire per la patria? Questa consapevolezza animò gli intellettuali interventisti nel 1914. Eppure immaginare la guerra non è combatterla. I comandi militari di alcune nazioni avevano progettato un conflitto-lampo, una Blitz-Krieg in tedesco. Non fu così. Dopo le prime grandi operazioni, tra il ’15 e il ’16, la guerra divenne “di posizione” e fece la sua comparsa la sua grande protagonista, la trincea.
Che cosa possa passare nella mente e nel cuore di un soldato diciottenne ci è stato fortunatamente consegnato da scrittori e poeti.
Tra di essi, molti anni dopo, il cantautore Fabrizio De André, che canta la vicenda di Piero. La possiamo collocare nella Prima Guerra, ma rimane valida per ogni guerra: come affermava Schopenhauer l’arte ha la capacità  di slegarci dal “qui e ora” per proiettarci nell’assoluto. Non questa guerra, ma ogni guerra. De André nel 1964, quando la contestazione per lo Stato, l’ordine costituito, sta prendendo forma, ha infatti in mente il secondo conflitto mondiale, ma noi possiamo rappresentarcene il testo per i fronti della Prima.

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente
così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà  per morire
ma il tempo a me resterà  per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia
cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
avrei preferito andarci in inverno
e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è  il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi”.

4. Il Piave mormorò

Marco Paolini, nella sua opera di teatro civile sulla tragedia del Vajont, dice che in quella drammatica occasione, nell’ottobre del 1963, sul Piave si celebrò il secondo grande rito funerario italiano. Il “Fiume Sacro alla Patria” infatti fu il percorso obbligato delle acque che defluirono da Longarone e lungo il suo corso, per chilometri, uomini con lunghe pertiche ne solcavano i fanghi per intercettare corpi umani cui dare degna sepoltura. Era già  Sacro, proprio per esser diventato, specie dopo Caporetto, culmine delle “Battaglie dell’Isonzo”, tratto essenziale della nuova linea del fronte, nei giorni di un’altra fine d’ottobre, quella del ’17. Proprio il fiume fu il protagonista dell’ultima massiccia offensiva austro-ungarica, la dannunziana “battaglia del solstizio”, nel giugno del 1918.

Nel 1918 stesso, a celebrare l’eroica resistenza italiana, fu scritta “La canzone del Piave”. Essa divenne parte integrante di una sorta di programma di propaganda, poi fatto proprio dal Regime Fascista, che intendeva ricordare della Grande Guerra solo l’aspetto di vitalità  e di maschio furore, fulgido esempio di italica virtù, sorvolando sulla tragedia di centinaia di migliaia di uomini e delle loro famiglie.

A questo link è possibile ascoltare una versione del canto, corredata da suggestive immagini del Piave.

CONTINUA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.