Un anno di libri #2013

In ROSSO quelli che…
servi.della.gleba.a.testa.alta
in BLU quelli che…
nel.boschetto.della.mia.fantasia
in VERDE quelli che…
né.carne.né.pesce.la.mia.angoscia.non.decresce

Saggistica

P. Spoladore, Chaire Jeshua
A. Labriola, Da un secolo all’altro (eB)
A. Moro, Parlo dunque sono (eB)
L. De Biase, Scienza delle conseguenze (eB)
L. Salmaso, Il Golpe latino (eB)
P. Flores D’Arcais/J. Ratzinger, Controversia su Dio (eB)
C. Augias, I segreti di Parigi
L. Bolzoni Codato, Panico vinto! (eB)
D. Mack Smith, A proposito di Mussolini (eB)
M. Recalcati, Che cosa resta del padre?
G. Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo (eB)
H. Arendt, L’umanità in tempi bui
J. Twenge, Generation me
A. Baricco, Le parole esatte da cui ricominciare
D. Bainbridge, I favolosi Anta. Perché la vita inizia a 40 anni (eB)
I. Kant, Pedagogia (eB)
I. Kant, M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?
R. Sennett, L’uomo artigiano
M. Recalcati, Il complesso di Telemaco

Narrativa

E. Sàbato, Sopra eroi e tombe
P. Cognetti, Manuale per ragazze di successo
D. Grubb, La morte corre sul fiume
A. Apuchtin, Il diario di Pavlik Dol’skij
R. L. Stevenson, Lettera al signor Hyde
H. Schneider, Il rogo di Berlino
A. Puskin, La donna di picche
G. Simenon. Germogliano sempre i noccioli
J. Roth, Giobbe (eB)
R. Walser, Il Brigante
L. Tolstoj, Il diavolo
N. Hornby, Alta fedeltà
B. Fenoglio, Il partigiano Johnny
B. Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba
B. Fenoglio, La malora, Solitudine, L’affare dell’anima
A. Camus, La peste (eB)
D. Pennac, Storia di un corpo
L. Meneghello, Le Carte I
C. Isherwood, Addio a Berlino
M. Maggiani, Il coraggio del pettirosso
P. Cognetti, Sofia si veste sempre di nero
W. Gombrowicz, Ferdydurke
P. Roth, I fatti
M. Serra, Gli sdraiati
J. Landsdale, Una stagione selvaggia (eB)

La TESTATA del blog è ispirata da questo sito (grazie Sara!);
l’immagine è tratta da QUI, dove si può acquistare.
Dello stesso autore (Ben Shahn) anche il disegno qui sotto.

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Un anno di libri #2012

In ROSSO i vogliopropriorileggerlo
in BLU i misonopropriodivertito
in VERDE i pensavopropriomeglio
gli altri ordinaria soddisfazione

Narrativa
B. Malamud, I primi sette anni e altri racconti
U. Eco, Il cimitero di Praga
G. Simenon, Maigret e l’omicida di rue Popincourt
H. Mueller, Le vie sottili
A. Conan Doyle, Uno studio in rosso
F. Russo, Ci si mette una vita
G. Simenon, La pazza di Maigret
S. Benni, Le beatrici
I. Schulze, Zeus e altre semplici storie
F. Dostoevskij, Memorie del sottosuolo
A. Conan Doyle, Il segno dei quattro
T. Bernhard, Al limite boschivo
V. Tomassini, Sangue di cane
D. Buzzati, Le notti difficili
D. Enia, Prima che il buio circondasse ogni cosa
E. Flaiano, La solitudine del satiro
C. Magris, Un altro mare
I. B. Singer, La distruzione di Kreshev
L. Bianchi, La messa dell’uomo disarmato
W. Trevor, La sala da ballo e altri racconti
K. Pancol, Gli occhi gialli dei coccodrilli
D. Foster Wallace, Dire mai e altri racconti
F. Piccolo, Momenti di trascurabile felicità
P. Roth, “Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno” ovvero osservando Kafka
E. Silvestri, Il commerciante di bottoni
P. Roth, La controvita
C. Stassi, Per questo mi chiamo Giovanni
C. Isherwood, La violetta del Prater
B. Hrabal, Spazi vuoti
G. Pontiggia, Le sabbie immobili
G. Talese, A spasso con il mio sigaro e altri racconti
P. Nori, Garibaldi fu ferito. E noi?
S. Benni, La traccia dell’angelo

Saggistica
P. Barcellona, La nostalgia di Dio nell’epoca contemporanea
E. Garin, Medioevo e Rinascimento
S. Bakewell, Montaigne. L’arte di vivere
F. Cassano, L’umiltà del male
C. Ginzburg, Occhiacci di legno
P. Biaggi, Buzzati. I luoghi del mistero
M. Auge, Futuro
G. Fofi, Salvare gli innocenti
C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica
A. Jodorowsky, Corso accelerato di creatività (Eb)
D. Antiseri, Come si ragiona in filosofia
L. Zoja, Il gesto di Ettore
G. Agamben, Opus Dei
N. Grimaldi, Lo sciamano Socrate
S. Giralucci, L’inferno sono gli altri
A. Bandura, Adolescenti e autoefficacia
E. Deaglio, La banalità del bene
J. M. Barrie, Coraggio, ragazzi!
J. Hillman, Puer Aeternus
T. Klingberg, Che cosa hanno in testa i nostri figli

Amore e follia al tempo degli Olmos

Sopraeroietombe

O vero
«Qualcosa di misterioso accade in quei momenti»

L'”anello che non tiene” punteggia alcune fasi della poetica di Eugenio Montale, per poi lasciare il passo ad altro, talvolta evanescente, talvolta solido. Correlativi oggettivi. Questo romanzo di Ernesto Sàbato, Sopra eroi e tombe, al contrario, sembra costruito interamente sui particolari precari che uno sguardo sul mondo, fondato sull’esperienza – e non sull’apparente ingenuità di Martìn del Castillo, uno dei coprotagonisti -, coglie nelle esistenze che intorno crollano.

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Giacché non bastano, pensava, le ossa e la carne per costruire un volto ed è per questo che il volto è la parte infinitamente meno fisica del corpo, fatto di sguardo, di contrazioni della bocca, di pieghe, di tutto quell’insieme di sottili attributi attraverso i quali l’anima si rivela nel corpo»

I fatti che costituiscono la sostanza della narrazione talvolta sfuggono, quasi si trattasse di più opere messe insieme. Ciò che conferisce compattezza al tutto è l’indagine dell’animo umano, o della sostanziale inesistenza della normalità. Martìn è costretto all’angolo della vita da una “madre-fogna”, un abbandono lacerante, il medesimo vuoto che fa vibrare le sue corde all’avvicinarsi di Alejandra. La vediamo parlare ed agire, ma è la sua assenza a risultare macigno ingombrante, non evitabile, né scavalcabile. E del resto il vuoto abita anche questa giovane donna, che – forse per un solo istante – trova nel ragazzo un appiglio, uno specchio.

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aperte

Ma vedendo le sue lacrime, le sembrò di capire che non era una risata ciò che aveva udito ma, come sosteneva Bruno, quello strano suono che certi esseri umani emettono in occasioni insolite e che, forse per la limitatezza della lingua, ci lasciamo andare a definire come riso o pianto»

Lo sguardo sulle vicende è distaccato, e potrebbe essere proprio quello filosofico di Bruno, amico-rifugio di Martìn, quasi padre. Come una nottola di Minerva, che osserva dall’alto senza poter intervenire. Che la sua sia una rinuncia, per quanto giustificata e giustificabile dal punto di vista teorico, apparirà chiaro quando finalmente, nella seconda parte del libro, avremo qualche notizia su di lui.

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Saremmo così duri con gli altri, si chiedeva Bruno, se ci rendessimo conto veramente che un giorno devono morire e che niente di quello che abbiamo detto loro si potrà più modificare?»

Perché anche Bruno ha a che fare con questa antica famiglia, gli Olmos, intrecciata con la storia dell’Argentina e, di necessità, con i suoi abitanti, fieramente sudamericani e nello stesso tempo fieramente europei come i loro antenati. Gli avi di Alejandra sono spettri anche quando continuano ad abitare le stanze della villa, il luogo del mistero che apre e chiude la vicenda, ma che non è altro che l’abisso della mente umana. E’ la psiche, nelle parole di Sàbato, a farsi veramente gotica. E Martìn è perso nella sua propria cattedrale.

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La notte, l’infanzia, le tenebre, il terrore e il sangue, sangue, carne e sangue, sogni, abissi, abissi insormontabili, solitudine solitudine solitudine, tocchiamo ma siamo soli. Era un ragazzo sotto una immensa cupola, nel mezzo della cupola, in mezzo a un silenzio terrificante, solo in quell’universo gigantesco»

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Alejandra rifiuta Martìn, perché rifiuta il suo amore, non in quanto tale, ma perché esempio di possibile amore. Alejandra sa di non poter meritare amore, per un imperativo categorico che vive nella sua carne. Martìn potrà sì toccarne la pelle e il corpo, ma è tutto quello che lei può dare, anche contro se stessa. Anzi: proprio contro se stessa.

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E Bruno, non Martìn, di certo, Bruno pensò che in quel momento Alejandra pronunciava una preghiera silenziosa ma drammatica, forse tragica, e che quella preghiera era rimasta inascoltata»

E’ in questo spazio, tra il drammatico e il tragico, che prende posto Sàbato: il dramma sta nelle anticipazioni, negli indizi sparpagliati, nelle cose che prima intuisci e poi ti vengon chiare; persino nella scelta di tracciare capitoli brevissimi, come se anche qui, in alcune decine di righe, si risolvesse un destino. Il tragico, come spazio dell’assenza-di-spazio, come svolta inaudita, voragine dell’insensatezza, è sempre di là da venire, eppure accade.

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E se l’angoscia è l’esperienza del Nulla, qualcosa come la prova ontologica del Nulla, non sarà forse la speranza la prova di un Senso Occulto dell’Esistenza, qualcosa per cui vale la pena lottare? Ed essendo la speranza più forte dell’angoscia non sarà che questo Senso occulto è più vero, per così dire, del famoso Nulla?»

La lotta contro l’angoscia lascia feriti sul campo e dispersi nella terra di nessuno: sono i folli. Come la tanto insensata quanto eroica cavalcata degli uomini del generale Lavalle, del quale giovanissimo portabandiera è Caledonio Olmos, al fine di difendere il cadavere dell’alto graduato dal disonore, eroica e insensata è l’indagine di Fernando Vilas Olmos a proposito di un presunto complotto mondiale ordito dai ciechi. Come l’impresa militare punteggia l’epilogo del romanzo (ma era stata già evocata nella casa degli Spiriti), l’intera Parte Terza è dedicata al fantomatico “Rapporto sui ciechi”, autentico esempio di Schwermerei. L’eroismo nel conflitto con l’angoscia, la ricerca affannosa della luce, la fuga dai fumi della putrefazione: tutto degli Olmos parla in questi termini epici. L’epica della follia, unico luogo rimasto.

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Avrei desiderato che mi chiudessero in un manicomio per riposare, visto che lì nessuno ha l’obbligo di conservare la realtà come ufficialmente si pretende che sia. Come se lì uno potesse dire (e certamente lo dice): e adesso, che s’arrangino»

Bruno annusa la psicosi di Fernando da vicino, e come il suo “protetto” Martìn anni dopo, ne rimane invischiato per amore di una Olmos, Georgina. Ma a differenza del giovane sperduto, Bruno si salva con l’ideologia e il pensiero anarchico, che lo portano fuori, dalle patologie di una casata famigliare, a quelle della società borghese capitalista. Passata l’adolescenza e i suoi nostalgici amori, solo la purezza dei teorici della rivoluzione, o la pazzia di Fernando, riescono a smuoverlo.

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Mio Dio, è possibile trovare esseri umani veramente puliti, se non nei territori, quasi alieni dalla condizione umana, dell’adolescenza, della santità e della follia?»
(…) Ecco una delle grandi contraddizioni della nostra formazione, che finì per scavare un abisso fra noi e la nostra patria: volendo indagare la nostra realtà abbiamo finito per perderci in un’altra. Ma cos’è in
definitiva la nostra patria se non una serie di alienazioni?

Come se realmente l’alienazione dello sfruttato, in termini marxiani, non sia una metafora – o lo sia solo parzialmente: “alienato” è anche tecnicismo psichiatrico e i resti del meccanismo divoratore che costituisce la normalità della vita borghese non sono solo operai e immigrati, ma altrettanto decisamente coloro che perdono il senno, o il senso.
Sàbato, come Pessoa per altri versi e tutta la letteratura come si dice esistenzialista, guarda alle crepe della quotidianità come ad indizi della fine di un mondo: non si tratta di eccezioni su cui passare in fretta, ma carotaggi ontologici. E’ il mondo a cavallo tra ‘800 e ‘900, di cui le guerre mondiali non sono che espressione pandemica e le lotte per l’indipendenza prodromo. Le parentesi aperta e chiusa attorno all’idea di patria e probabilmente la fine della paternità (cioè del senso dei sensi) come la si conosceva.

aperteNon era arrivato il tempo in cui si impara che niente dovrebbe stupirci negli esseri umani, e che se è vero, come afferma Platone, che la saggezza nasce dallo stupore, non è meno vero che lo stupore muore con la saggezza».

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[Le immagini che corredano il testo sono tratte da ELIBRA. Grazie ad Elena.
«Come se quegli oggetti non fossero che ponti tremanti e transitori (come le parole per il poeta) per colmare l’abisso che si apre fra noi e l’universo» E. S.]

Il Male: nulla di scontato

Approdo a questo denso saggio di Cassano attraverso le sollecitazioni di Pietro Barcellona, nell’ultima strenna natalizia macondina (La nostalgia di Dio nell’epoca contemporanea). Barcellona interpella il filosofo pugliese in quanto sostenitore di una posizione a lui antitetica, quella secondo cui sia possibile giustificare il Male. E’ proprio questa la scintilla che mi ha portato ad approfondire L’umiltà del male. Non è questo il luogo adatto per illustrare il dibattito tra i due punti di vista; invece mi pare interessante dar conto dell’approccio di Cassano, lasciando ai lettori il confronto.

Cassano prende le mosse da un luogo capitale della letteratura occidentale, l’incontro drammatico tra Cristo e il Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov. La lettura che ne ricava, tuttavia, è inedita. Se, anche per una tacita propensione di Dostoevskij stesso, siamo portati istintivamente a porci dalla parte di Gesù e del suo tentativo di porre la libertà personale quale chiave di volta del suo messaggio, Cassano invece invita a riconsiderare la posizione del vecchio prelato. Essa non sarebbe la conseguenza di una nefasta volontà di predominio sugli uomini, che, pur di avere pane e sicurezza, delegano ad altri il proprio arbitrio, quanto piuttosto la visione realistica di chi, avendo provato a seguire Cristo nella sua esigente proposta, si rende conto di come la maggioranza del genere umano debba venir condotta alla salvezza, perché lasciata a se stessa, perirebbe sotto il peso di una libertà insostenibile.

Cassano in altri termini invita a riflettere sul fatto che quanti si fanno difensori di un Bene considerato assoluto spesso, per la propria intransigenza, cadono in una sorta di miopia che dimentica come, al contrario, le potenze terrene siano ben più capaci di conoscere le debolezze umane e volgerle a proprio favore. Che vale conoscere il Bene se non si è capaci di coinvolgere in esso le persone? Il commercio con la debolezza è una forza che il malvagio conosce bene: Cassano interpella Primo Levi e la sua testimonianza su come un sistema di morte non si rivolga a individui dall’umanità corrotta, ma sia esso stesso mezzo di corruzione dell’umanità, facendo di persone normali degli aguzzini. Il perdono è dunque impossibile? Cassano non lo pensa, ma avverte con pari forza che non è un percorso semplice, perché rischia di mischiarsi all’oblio.

Nella parte finale del saggio, infine, l’autore aggiorna il dialogo evocato da Ivan Karamazov, riportando il dibattito tra due filosofi novecenteschi, Adorno e Gehlen. Anche in questo caso la prospettiva del primo risulta agli occhi dell’autore troppo esigente: l’emancipazione dell’individuo invocata dall’utopia socialista è un programma troppo ambizioso, riservato a pochi eletti, mentre i più sono destinati a rimanere invischiati nel miele della società dei consumi, esperta nel creare bisogni e desideri indotti. In essa prevale e domina il soggetto e la sua privata realizzazione. Gehlen ne è consapevole ma non riesce a gettare luce sul futuro, perché il trionfo dell’io comporta la crisi del legame sociale. E qui forse egli riesce a descrivere quel che effettivamente oggi accade. Come uscirne? Cassano non prescrive farmaci, ma rammenta la forza coesiva delle prime comunità cristiane, prima dell’avvento di una chiesa-burocrazia: un invito a coloro che si ritengono i “pochi eletti” ad uscire dal fortino della bella minoranza per incontrare debolezza e sofferenza umane, troppo umane. Un invito, aggiungo io, dal sapore eminentemente pentecostale.

Dignità!#1

Monitorare solamente, e quindi a maggior ragione comprendere, quel moto di protesta che ci riguarda e che corre da continente a continente in queste ore, è difficile. E’ difficile anche star qui a scriverne quando avverto che prendere parola pubblica diviene urgenza.

Ma quel che posso fare ora è raccogliere qualche opinione e intuizione, per avviare il lavoro di comprensione: non per catalogare e archiviare, ma per annusare dove stiamo andando.

Ai giovani dico: guardatevi attorno, e troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione, il trattamente riservato agli immigrati, ai san papiers, ai rom. Troverete situazioni concrete che vi indurranno a intraprendere un’azione civile risoluta. Cercate e troverete!”
(Stéphane Hessel, Indignatevi!; add editore, Torino 2011)

E’ un errore snobbare la protesta, di Paul Krugman (da “IlSole24ore”)

 

Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani, che hanno venti o trent’anni e sono senza prospettive” (Mario Draghi, qui)

 

Il punto della situazione di oggi, 15 ottobre 2011 (da “Repubblica”).

Porzione di prima pagina de “Il Fatto”, contiene il link all’articolo di Furio Colombo (da altro blog).

 

Sul “Il Post” una galleria in progress degli scontri a Roma.

E emerge con evidenza che qui non c’è più la dignità della protesta.
Qual è il limite della tolleranza?
Io penso che questo sia comunque uno scontro tra fascismi: il totalitarismo del mercato cieco come pensiero unico e il fascismo di sinistra, di chi ritiene che non ci sia altra via alla violenza. A meno di non leggervi alle spalle l’azione di gruppi organizzati dal potere stesso (ma prima delle dietrologie, guardiamo gli sviluppi).

Qui un commento interessante (dal blog di Minimum Fax; 15 ottobre)

Qui il commento di Mario Calabresi (da “La Stampa”; 16 ottobre) da cui è tratta la citazione che segue:

Da noi accade ancora perché non abbiamo mai preso (uso il plurale perché dovrebbe farlo la società tutta) le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente. Perché siamo i massimi cultori del «Ma» e del «Però», che servono a giustificare qualunque cosa in nome di qualcos’altro”.

Altri commenti interessanti segnalati in questa pagina del blog di Massimo Mantellini.

Qui un commento di Francesco Costa, dal suo blog, attraverso “Il Post”.
Da voce ad una intuizione di tanto tempo fa: non c’è differenza qualitativa tra chi sputa in faccia a Pannella, chi zittisce (o cerca di zittire) Pansa durante la presentazione del suo libro, chi tira sampietrini, chi spacca vetrine, chi spacca teste. Si tratta di differenze quantitative – da misurare sulla base del diritto penale. Ma è sempre e comunque violenza. Io chiamo la posizione del più forte (perché in gruppo, perché armato, perché urlante) che sottomette il più debole (perché da solo, perché inerme, perché senza voce) in un unico e sempre medesimo modo: fascismo.
E questo pur condividendo poco con Pannella, molto poco con Pansa, nulla con chi alza le mani.