Anche qui.
noterelle per una rinnovata resistenza
Qui c’è la versione originale tradotta del bell’articolo di John Berger, tratto da Internazionale, che riporto interamente.
Più di mille persone provenienti da tutta la Francia si sono ritrovate nella cittadina di Thorens-Glières, in Alta Savoia. Una discussione pubblica, aperta e intergenerazionale, sui comportamenti e gli strumenti di protesta di fronte a ciò che è inaccettabile.
Osservazioni sul bisogno di apprendere e l’ignoranza involontaria. No, non è un tema da esame di pedagogia. È il titolo del resoconto di alcuni fatti accaduti nel corso dello stesso fine settimana. Venerdì 13 maggio 2011 sulle Alpi francesi c’era la luna piena e l’aria era così limpida che potevi vederne i crateri a occhio nudo.
A New York, Dominique Strauss-Kahn, presidente del Fondo monetario internazionale e probabile candidato del Partito socialista alle elezioni presidenziali francesi, aveva prenotato una suite privata da tremila dollari a notte al Sofitel Hotel di Manhattan.
Sabato 14, più di mille persone provenienti da tutta la Francia si sono ritrovate nella cittadina di Thorens-Glières, in Alta Savoia, per partecipare a un “appuntamento di cittadini†per discutere ed esaminare la storia e le strategie della resistenza armata e politica. Vari veterani della resistenza francese contro l’occupazione tedesca hanno parlato tranquillamente delle loro esperienze di settant’anni prima. Non è stata un’occasione per lanciare una campagna politica. È stata una discussione pubblica, aperta e intergenerazionale, sui comportamenti e gli strumenti di protesta di fronte a ciò che è inaccettabile.
Nel pomeriggio di quello stesso sabato una pattuglia della polizia di New York scortava Strauss-Kahn fuori da un aereo che stava per decollare diretto a Parigi. Strauss-Kahn viaggiava in business class con una prenotazione fatta diversi giorni prima. Lo arrestavano per indagare sul tentato stupro di cui era accusato. La mattina presto di domenica 15 maggio cinquemila persone hanno cominciato a raggiungere, per lo più in automobile, il plateau des Glières, che è a un’altitudine di 1.500 metri sopra la città di Thorens.
Era un mattino freddo, nuvoloso e ventoso. Sull’altopiano c’è una monumentale scultura dedicata alla resistenza armata francese contro i nazisti tedeschi, i fascisti italiani e il governo collaborazionista francese di Vichy tra il 1943 e il 1944. È considerato un sito storico ed è meta di pellegrinaggio. La strada che porta all’altopiano è lunga, stretta e tutta a tornanti. È una zona selvaggia – selvaggia in senso geologico – scoscesa, frastagliata, cupa, rocciosa. Per salire bisogna cambiare di continuo direzione. Può far pensare ai percorsi tortuosi della storia.
Testarda determinazione
La Savoia è stata l’unica regione della Francia a liberarsi da sola dall’occupazione tedesca, senza l’aiuto di truppe straniere. Le forze della resistenza erano formate da gruppi di diverso orientamento politico provvisti, per lo più, di armi e munizioni paracadutate sul plateau dai caccia della Raf con spedizioni dirette dal generale de Gaulle, che operava da Londra. A un battaglione locale di quattrocento partigiani era poi affidato il compito di trovare e distribuire le armi. Contraddittorietà dei messaggi, finalità contrastanti, spie e forti nevicate portarono alla morte più di un quarto del battaglione. Prima di morire molti uomini furono torturati dalla Milice, la polizia politica di Vichy.
Non è un monumento al fulgore della vittoria, ma alla testarda determinazione a resistere. Nel corso di quella mattinata domenicale i momenti di sole sono stati rari e brevi. A causa delle nubi gelide e nebbiose, per buona parte del tempo la visibilità era ridotta a poche centinaia di metri e il monumento era nascosto. Accanto a un edificio di pietra usato come rifugio da sciatori di fondo e occasionali pellegrini era stato montato un piccolo podio di legno, con una fragile copertura di tela, destinato agli oratori che avrebbero parlato ai cinquemila presenti. Era poco più grande di un teatrino dei burattini.
C’erano due microfoni, il tettuccio sbatteva nel vento e, un po’ più in là , alcuni altoparlanti montati su lunghi pali rivolti verso il pendio roccioso dove i partecipanti al raduno avevano cominciato a sistemarsi e a sedersi sull’erba con le giacche a vento chiuse fino al collo. Chi voleva essere più vicino al palco era rimasto in piedi. Le giacche a vento erano di molti colori e le persone di età diverse. Cosa li aveva portati lì? Dopo la liberazione nel 1944 il Consiglio nazionale della resistenza pubblicò un documento in cui si delineavano i tratti della Francia che ora si poteva costruire: un paese caratterizzato da sicurezza sociale, un sistema scolastico libero e di alto livello, servizio sanitario pubblico, condizioni di lavoro e salari garantiti, con mezzi d’informazione indipendenti dal governo e dalle grandi imprese.
Attraverso scontri e confronti continui tale piano fu portato più o meno a compimento tra il 1946 e il 1952. La Francia diventò un paese con una certa giustizia sociale e responsabilità democratica, impegnato in dibattiti continui, e a volte confusi, sul mantenimento o il potenziamento di tale giustizia. La situazione è rimasta stabile fino agli anni ottanta. Poi, il nuovo ordine economico della globalizzazione, delle multinazionali e dell’egemonia del capitalismo finanziario, fondato su speculazione e debito, ha preso ad avanzare come un gambero in tutto il mondo fino a raggiungere la Francia. I partiti politici della sinistra e della destra hanno cercato di negoziare e tergiversare, poi si sono arresi. Il vocabolario politico è cambiato.
La flessibilità ha spinto via a gomitate la solidarietà . La Francia caratterizzata da una certa giustizia e fraternità ha cominciato a sgretolarsi e nessuno si è preoccupato di ripararla. Nel 2007, con l’elezione di Nicolas Sarkozy alla presidenza, le prospettive economiche e sociali sono radicalmente cambiate. L’intero istituto della sicurezza e della giustizia sociale, fatiscente, appassionato, sconclusionato, è stato sistematicamente e rapidamente smantellato. Secondo Sarkozy e i suoi consulenti tutto ciò che esso rappresentava era ormai obsoleto. Metà delle persone sull’altopiano si era portata un ombrello. C’era chi ne aveva portati due.
Quando si è messo a grandinare, li hanno aperti e hanno offerto quelli di scorta alle persone in piedi o sedute lì accanto che non ce l’avevano. Durante la sua campagna elettorale, Sarkozy fece una visita (molto pubblicizzata) al plateau, dove annunciò che, se fosse stato eletto presidente, sarebbe tornato una volta all’anno per rendere omaggio agli eroi della Resistenza. Fra l’altro disse che quel luogo aveva una sua particolare “serenità â€. Al che vari sopravvissuti della guerra di resistenza, in collaborazione con attivisti sociali più giovani, hanno creato un’associazione di resistenza di ieri e di oggi, che invitava i cittadini a recarsi sul plateau ogni mese di maggio, in una data convenuta, per esprimere la loro opposizione allo smantellamento della Francia nata dalla lotta di resistenza.
Ecco perché quelle cinquemila persone si trovavano lì sull’altopiano, in piedi o sedute, ad ascoltare, fare e porsi domande, una domenica mattina. Niente striscioni, bandiere o slogan. Solo parole, frasi, che uscivano dagli altoparlanti e si propagavano nell’aria di montagna e nel vento battente. A un certo punto la grandine è cessata. Per qualche istante è brillata tiepida la luce del sole. Poi la grandine ha ripreso a cadere a chicchi più grandi. Quindi ha smesso di nuovo. Tra un discorso e l’altro regnava il silenzio vigile tipico degli animali che, lanciato il loro richiamo, aspettano di sentire se da lontano arriva una risposta.
I piedi per terra
Le parole descrivevano le esperienze. Le parole di Walter – arrestato a diciassette anni dai tedeschi e mandato nel campo di concentramento di Dachau – hanno ricordato i compagni che non sono più tornati. Le parole di Jean-Pierre hanno descritto il trattamento che oggi ricevono in Francia i lavoratori stranieri privi di documenti. Le parole di Didier hanno detto il prezzo del latte pagato dalle multinazionali agli allevatori di vacche e hanno spiegato che nei loro contratti c’è una clausola che gli vieta di protestare. Le parole di Radia hanno denunciato le torture che subiscono i combattenti per la libertà arrestati in Tunisia dalle forze di sicurezza ancora al potere.
Ogni parola, così come le persone che le ascoltavano, aveva i piedi per terra. Corine lavorava come cassiera in un supermercato della vicina città di Albertville. Era lì con cinque colleghe e le sue parole sono servite a testimoniare il loro rifiuto di lavorare la domenica per poter trascorrere la giornata con i figli. Tutte e cinque rischiavano di essere licenziate. La domanda posta da tutte le parole era: come facciamo a dire no? Come facciamo a dire sempre no? Quello stesso pomeriggio, a Madrid, è cominciata l’occupazione di Puerta del sol organizzata da giovani che protestavano contro i brutali tagli alla sicurezza sociale imposti al governo spagnolo dal Fondo monetario internazionale.
Di lì a poco altre occupazioni sarebbero seguite in altre città spagnole. Questo movimento spontaneo di giovani indignati è stato immediatamente chiamato 15-M, per 15 maggio. Quello stesso giorno, a New York, alcune ore dopo, Strauss-Kahn veniva portato fuori da una stazione di polizia di Harlem, ammanettato, disperato, detenuto in attesa di processo. Su questo scandalo sono già state scritte innumerevoli parole. Probabilmente quel che è davvero successo tra lui e la cameriera d’albergo nella suite del Sofitel Hotel non sarà mai chiaro.
Eppure quasi nessun commentatore ha specificato che, innocente o colpevole, qualunque cosa abbia o non abbia fatto, Strauss-Kahn era – se teniamo presente il luogo, le circostanze e il momento storico – incredibilmente inconsapevole delle probabili o possibili conseguenze di ogni sua mossa. Ignoranza e innocenza sono due cose molto diverse. A volte, però, hanno in volto la stessa espressione. Come si spiega un’ignoranza simile? E se la spiegazione non fosse né morale né clinica, bensì ideologica?
Il Fondo monetario internazionale, di cui Strauss-Kahn era direttore, procede secondo una logica sofisticata, rarefatta, concentrata sul virtuale, una logica che specula su rischio, tendenze e calcolo della redditività , sulla costante della fiducia perennemente elusiva degli investitori. Per una visione del mondo così aerea quel che succede sul terreno, come ogni forma di danno collaterale, è marginale e irrilevante. Di solito, secondo questa logica, può essere ignorato. L’ultima persona a prendere la parola sul plateau des Glières è stato un giovane. Di sicuro era la prima volta in vita sua che si rivolgeva a così tanta gente.
Le sue parole hanno descritto l’esperienza di lavorare a Parigi con i senzatetto che occupano gli edifici vuoti. Ha concluso il suo resoconto, schivo come un botton d’oro (il botton d’oro cresce sull’alpeggio a quella quota e, se lo raccogli e lo metti in un bicchiere, piega quasi subito il capo), ripetendo le parole di un veterano: “Creare è resistere, resistere è creareâ€. Niente più grandine. Gli ombrelli erano chiusi. Il vento era sempre gelido. Si offrivano sciarpe a chiunque ne volesse prendere in prestito una. Gli altoparlanti erano stati spenti. L’erba era fangosa. “Attenti a non scivolare!â€, ha ammonito una nonna. E con i loro tempi i presenti hanno cominciato a discutere in piccoli gruppi di quel che avevano appreso. Appreso a proposito di esperienze sul campo.
11 luglio 1979
Anna carissima,
è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.
Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.
Ricordi i giorni dell’Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.
I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.
Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro [… ]
Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.
Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma – a parte l’assicurazione vita – (…)
Giorgio“.
Carlo Rosselli vive e lotta. Con noi?
Il 9 giugno scorso, anniversario dell’omicidio fascista di Carlo Rosselli, lo storico Nicola Tranfaglia ha tenuto presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi questo discorso di presentazione del suo volume biografico sul Rosselli medesimo.
Gli elementi che caratterizzano la personalità di Carlo Rosselli (ma anche quella di suo fratello Nello che pure si dedicava anzitutto alla storia del Risorgimento) e la sua azione politica in Italia, in Francia e nella Spagna della guerra civile del 1936 non sono difficili da indicare.
Carlo costituì nella lotta contro il fascismo, prima in Italia, poi in Francia e in Spagna un punto di riferimento centrale per quella parte degli italiani che non vollero accettare la dittatura e cercarono di combatterla su una piattaforma politica e liberalsocialista, fortemente critica verso il movimento comunista ma, nello stesso tempo, attenta alla sua evoluzione.
Dopo l’esperienza del settimanale “Quarto Stato†inieme al repubblicano e socialista Pietro Nenni che chiedeva una forte mobilitazione delle coscienze in senso contrario al fascismo e un’aperta critica degli errori compiuti dal movimento socialista, Rosselli pubblica il saggio sul Socialismo liberale (che sono riuscito a far ripubblicare dal Corriere della Sera il 12 marzo di quest’anno) puntando su un socialismo, nutrito di un metodo liberale moderno, in grado di dare un peso preponderante al problema sociale come al ruolo della libertà e della volontà umana nel farsi della storia.
Sia attraverso i “Quaderni di Giustizia e Libertà â€, pubblicati dopo la fondazione del movimento politico di Giustizia e Libertà fondato a Parigi nel 1929, sia attraverso il settimanale con lo stesso titolo fondato nel 1934, dopo lo scioglimento della Concentrazione antifascista, Carlo dedica la sua attenzione, da una parte, all’analisi del fenomeno fascista, dall’altra all’Italia che dovrà risorgere dalla dittatura e costruire una democrazia sociale moderna capace di realizzare quegli ideali di libertà e giustizia sociali necessari per battere tutte le tentazioni populistiche e dittatoriali che si possono presentare.
Ora sul pensiero di Rosselli e sulla sua battaglia complessiva non posso scendere nei particolari e devo rinviare al mio ultimo lavoro su Carlo Rosselli (1899-1937) e il sogno di una democrazia sociale moderna, che ho presentato all’Istituto di Cultura italiano a Parigi il 9 giugno scorso, proprio nell’anniversario dell’assassinio compiuto dal Sim e dalla Cagoule, per ordine del ministro fascista Galeazzo Ciano, di fronte a una sala piena di italiani e di francesi.
Qui vorrei sottolineare due aspetti della sua battaglia politica che mi sembrano ancora molto attuali.
Il primo riguarda alcune caratteristiche del regime fascista, di cui il populismo berlusconiano riproduce purtroppo – pur con le inevitabili differenze del tempo passato – alcuni tra i difetti maggiori.
La prima caratteristica si ricava da un appunto inedito di Carlo Rosselli scritto per una riunione di dirigenti di Giustizia e Libertà a Parigi nel 1932: “Il carattere supremamente ripugnante della dittatura moderna fascista non consiste nella forza e nella soppressione delle libertà — fenomeni questi propri a tutte le tirannie — ma nella fabbrica del consenso, nel servilismo attivo che essa pretende dai sudditi.â€
La seconda caratteristica si trova in una indicazione che emerge da un articolo apparso due anni dopo, nel febbraio 1934, sul numero 10 dei Quaderni di Giustizia e Libertà : “Lo Stato Corporativo non è che lo strumento tecnico della reazione moderna, una contraffazione a fini conservatori del movimento operaio libero e creatore. Di fronte alle grandi masse che raduna l’industrialismo moderno, l’assenteismo dell’ancien regime che aveva a che fare con popolazioni sparse e artigiane, non è più possibile. Al movimento di massa è gioco-forza opporre una reazione di massa. Alla lega operaia il sindacato di Stato. All’ideale di una produzione associata, socializzata, la corporazione.â€
Sul comunismo il suo discorso è altrettanto chiaro. Critica radicale alla dittatura marxista staliniana e alle atrocità del regime dispotico ma difesa della rivoluzione “che ha distrutto l’autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa rivoluzione l’amiamo e la difenderemo.â€
Se alla storia di Carlo e di Nello Rosselli, si aggiungono le storie giudiziarie che hanno sempre assolto i mandanti dell’assassinio in Francia, come nell’Italia del secondo dopoguerra, e il veto opposto prima da Charles De Gaulle in quanto capo dello Stato francese, dai suoi immediati successori e poi nel 1981 da Francois Mitterrand per non consentire agli storici di tutto il mondo (me compreso) di consultare i fascicoli della Cagoule negli archivi nazionali di Parigi, si ha il quadro della vera e propria persecuzione in vita e post-mortem che hanno subito i due fratelli Rosselli, autentici simboli e martiri dell’Italia democratica, liberalsocialista e antifascista.
La prima edizione del libro su Carlo Rosselli di Nicola Tranfaglia (Baldini Castoldi Dalai, 2010, pp 507, Euro 22) fu pubblicata da Laterza nel 1968 con il titolo Carlo Rosselli: dall’interventismo a Giustizia e Libertà , e esplorava in maniera analitica la formazione di Rosselli, il suo pensiero giovanile e la sua azione politica in Italia fino al 1930. In questa edizione la vita e l’opera di Carlo Rosselli vengono restituiti anche gli anni parigini e la attività di Rosselli come leader di Giustizia e Libertà , le sue pubblicazioni e i rapporti con gli altri movimenti antifascisti in esilio, fino all’assassinio di Bagnoles de L’Orne il 9 giugno 1937. Tranfaglia offre ai lettori non solo italiani la biografia completa di uno dei più grandi combattenti nella lotta al fascismo, l’uomo che prefigurò la repubblica democratica nata infine nel 1946 e che ha contrassegnato il dibattito politico a sinistra anche nel secondo dopoguerra. Nicola Tranfaglia ricostruisce le vicende pubbliche e private di Rosselli, la sua azione e il suo pensiero, le concezioni politiche e culturali alla base di uno tra i maggiori e più originali esponenti dell’antifascismo europeo. In Italia, ma anche a livello internazionale, le ricerche di Tranfaglia sono considerate un imprescindibile riferimento scientifico e culturale per la comprensione del progetto rosselliano: cioè di quel connubio tra pensiero liberaldemocratico e socialismo liberale che in Italia non si è realizzato nel primo sessantennio della Repubblica, ma che oggi la sinistra più avanzata persegue come unica alternativa credibile al populismo autoritario affermatosi negli anni Novanta.
Il pezzo è tratto da qui.
sempre e comunque
sui quesiti del prossimo Referendum
Il Post ha ottimanente riassunto l’intera questione.
Che non è affatto semplice. L’elemento di maggior complicazione sta a parer mio nel fatto che il terzo e quarto quesito (rispettivamente: nucleare, o meglio politica energetica, e legittimo impedimento) hanno ormai “solo” un valore simbolico, in quanto Parlamento e Corte Costituzionale hanno nel frattempo modificato gli articoli per la cui abrogazione sono state raccolte le firme. Si tratta perciò – con il SI – di un voto di protesta.
domenica c’è il sole, fuori dal recinto
antimafia a Padova (e dintorni)
In memoria di Guido Petter (Luino, 1927 – Dolo, 24 Maggio 2011)
Io proseguo col mio insegnamento nel corso di laurea in psicologia, che si avvia a diventare una Facoltà . I miei rapporti con gli studenti sono sempre stati in tutti questi anni (e del resto lo erano anche prima) molto soddisfacenti, e talvolta addirittura splendidi (anche se vi sono stati periodi in cui mi sono augurato che all’impegno individuale nello studio si accompagnasse in loro una maggiore sensibilità per i problemi generali dell’universira e della società civile e un coinvolgimento più intenso, come era successo nel ’68 e come è accaduto poi anche altre volte, con un andamento ciclico, fino al movimento recente, vivace ma effimero, della «pantera»).
Continuo ad andare in bicicletta all’università , e non porto più in tasca una pistola. Non ve n’è più la necessità , e così mi servo solo degli strumenti che sono propri del mio lavoro, i libri, la carta, la penna, talvolta il registratore o la lavagna luminosa. Del resto, anche se tornassero tempi come quelli che ci siamo lasciati alle spalle, dubito che la porterei ancora, quella pistola.
Non credo però che torneranno, dato che la vaccinazione è stata generale e profonda. Ma dobbiamo tutti vigilare, e operare, perché le condizioni che hanno portato a quelle esperienze drammatiche non abbiano a ricrearsi nel nostro paese.
Oggi le emergenze che abbiamo davanti sono altre: la lotta contro la mafia, la lotta contro la non meno devastante «cultura delle tangenti». È su questo che dobbiamo mobilitarci, come al tempo della violenza eversiva, insieme ai giovani. Proprio i giovani, infatti, debbono poter credere in uno Stato giusto e democratico, e in una piena moralità della vita pubblica (e anche nella effettiva possibilità di difenderla)”.
(Guido Petter, I giorni dell’ombra. Diario di una stagione di violenza italiana; Garzanti, 1993; p. 183).
A Guido Petter, Partigiano,
difensore della liberazione e della giustizia,
osservatore e conoscitore dei bambini,
vero insegnante della Libertas Patavina.
Grazie.
la cruna dell’ago
Su Il fatto (edizione cartacea, però) di oggi 15 maggio, il direttore Padellaro scrive un editoriale che mi permette di condensare alcune intuizioni delle ultime settimane.
Descrive infatti un viaggio reale e insieme immaginario che tocca alcune zone dell’Italia, una mappa di azioni o di presenze volte ad informare, denunciare, suscitare responsabilità civile. Quest’ultima certo non può essere annoverata tra i sentimenti o le emozioni e quindi in senso stretto non può essere “suscitata”: fa infatti parte della consapevolezza razionale di abitare una societas civilis nella quale, che sia per difenderci dai lupi ovvero per coordinare al meglio le operazioni in ordine al bene comune, chi può riesce a rammentare che i proprio diritti pesonali si devono accompagnare sempre ad un corredo di doveri, il primo dei quali è quello di ricnonoscere agli altri questi medesimi diritti.
Capita – scrive Antonio Padellaro – d’incontrare in treno Elio Veltri che va a presentare il suo libro sulla ‘ndrangheta al Nord. Documenta massicce infiltrazioni mafiose negli uffici comunali (anche milanesi) finanziate dai giganteschi proventi della cocaina. Si stanno comprando tutto e tutti, dice sconsolato, la magistratura fa quello che può ma nella totale indifferenza della politica. Anche i leader dell’opposizione che ha incontrato gli sembravano lontani, distratti: vedremo, faremo… A Parma, per iniziativa di Maurizio Chierici, dell’università e di altri benemeriti cultori della memoria, si parla di P2 a trent’anni dalla scoperta delle liste di Gelli. C’è il giudice Giuliano Turone, lui e Gherardo Colombo che violarono le stanze di Castiglion Fibocchi. Un atto di enorme coraggio nell’Italia schiava delle trame occulte.
Questo lento lavoro di limatura delle stortezze della comunità nella quale abitiamo, fosse anche attraverso solo un’informazione coraggiosa, non è cosa nata in questi giorni, anche se – e sarà un merito da riconoscere al cosiddetto berlusconismo, suo malgrado e per nostra fortuna – negli ultimi tempi essa emerge con più forza. In altri termini il monito “di quali altri segni avete bisogno?” lanciato nel 1925 dalle pagine semiclandestine del “Non mollare” di Salvemini e dei Rosselli – che invitava ad aprire gli occhi sulla dittatura di fatto – deve essere oggi in qualche modo reinterpretato. A causa della trasformazione delle pratiche autoritarie della politica occidentale, della loro capacità di trasformarsi continuamente, di mimetizzarsi spostando continuamente il problema o anestetizzando la ragione attraverso l’incantamento dei bisogni, la donna e l’uomo comuni pare non riescano più a indignarsi. Non che l’omicidio di Matteotti avesse a suo tempo indotto la massa a prendere posizione… Ma oggi la drammatica eliminazione fisica di una persona scomoda non è tra i mezzi impiegati dal potere, a meno che – mutatis mutandis – non sia un simbolo stesso del male, con Osama Bin Laden o forse lo stesso Gheddafi. Il potere si è adeguato alla sensibilità contemporanea, la stessa che nello stesso tempo ha contribuito a creare, e così non possiamo aspettare che la nazione si ribelli indignata, perché non ci sarà un fatto eclatante che la costrigerà a farlo. Lo desideriamo, forse, ma temo non possa accadere.
Il percorso, in obbedienza alla fluida complessità nella quale nuotiamo, è drammaticamente più lento. E’ una sorta di tam-tam personale, un aprire gli occhi di singole persone finalmente convinte a svelare la menzogna, grazie al lavoro di altri singoli.
Spesso questo lavoro rimane sotterraneo, come quello descritto dalla raccolta di Guido Turus e Lorenzo Capalbo in Per l’Italia. 150 anni di cittadinanze attive per conto del MoVI e pubblicato da Esedra, presentanto nell’ambito del Festival della Cittadinanza.
La storia unitaria ha potuto godere di una spina dorsale costituita dall’opera di donne e uomini che hanno, ben prima della nostra Costituzione ma nel Suo spirito, elaborato azioni inedite le cui conseguenze sono state di dimensione sociale e culturale. Come una sorta di “astuzia della ragion solidale”, l’impegno personale si è trasformato in buone pratiche e buoni leggi, anche al di là forse degli intendimenti del singolo.
Ora, questo impegno esiste e chi getta anche solo un occhio distratto al cosidetto mondo del sociale può scorgerne la vastità e la potenzialità . Chi intuisce uno spazio di bisogno si attiva e se ne fa carico, fondando associazioni, denunciando misfatti o solo prendendo parte ad organizzazioni esistenti.
Il problema sembrerebbe consistere negli “altri”, quelli banalmente accusati di indifferenza o di egoismo… Quelli del “me ne frego”. Ecco, io penso che qualora essi esistano realmente, e cioè al di là delle generalizzazioni, è perché sono stati in qualche modo creati da alcuni atteggiamenti degli “impegnati”.
Il primo che mi viene in mente è una sorta di retorica della resistenza: noi, pochi e buoni, e voi, il popolo bue. Il giudizio per cui alcuni solo si salvano e quindi alcuni non potranno entrare nel Regno dei Cieli può essere pronunciato solo da pochissimi, che di solito hanno pagato cara la propria corenza.
Un altro è ben più grave: l’orrenda frammentazione del sociale padovano (almeno), la logica del campanile applicata al solidale. Un esempio, che rilevo cercando di mettermi dalla parte di un osservatore “lontano” ma incuriosito: perché questi due eventi (questo e quest’altro) così simili per “bacino d’utenza” sono stati pensati nel medesimo week-end?