la cruna dell’ago

Su Il fatto (edizione cartacea, però) di oggi 15 maggio, il direttore Padellaro scrive un editoriale che mi permette di condensare alcune intuizioni delle ultime settimane.
Descrive infatti un viaggio reale e insieme immaginario che tocca alcune zone dell’Italia, una mappa di azioni o di presenze volte ad informare, denunciare, suscitare responsabilità civile. Quest’ultima certo non  può essere annoverata tra i sentimenti o le emozioni e quindi in senso stretto non può essere “suscitata”: fa infatti parte della consapevolezza razionale di abitare una societas civilis nella quale, che sia per difenderci dai lupi ovvero per coordinare al meglio le operazioni in ordine al bene comune, chi può riesce a rammentare che i proprio diritti pesonali si devono accompagnare sempre ad un corredo di doveri, il primo dei quali è quello di ricnonoscere agli altri questi medesimi diritti.

Capita – scrive Antonio Padellaro – d’incontrare in treno Elio Veltri che va a presentare il suo libro sulla ‘ndrangheta al Nord. Documenta massicce infiltrazioni mafiose negli uffici comunali (anche milanesi) finanziate dai giganteschi proventi della cocaina. Si stanno comprando tutto e tutti, dice sconsolato, la magistratura fa quello che può ma nella totale indifferenza della politica. Anche i leader dell’opposizione che ha incontrato gli sembravano lontani, distratti: vedremo, faremo… A Parma, per iniziativa di Maurizio Chierici, dell’università e di altri benemeriti cultori della memoria, si parla di P2 a trent’anni dalla scoperta delle liste di Gelli. C’è il giudice Giuliano Turone, lui e Gherardo Colombo che violarono le stanze di Castiglion Fibocchi. Un atto di enorme coraggio nell’Italia schiava delle trame occulte.

Questo lento lavoro di limatura delle stortezze della comunità nella quale abitiamo, fosse anche attraverso solo un’informazione coraggiosa, non è cosa nata in questi giorni, anche se – e sarà un merito da riconoscere al cosiddetto berlusconismo, suo malgrado e per nostra fortuna – negli ultimi tempi essa emerge con più forza. In altri termini il monito “di quali altri segni avete bisogno?” lanciato nel 1925 dalle pagine semiclandestine del “Non mollare” di Salvemini e dei Rosselli – che invitava ad aprire gli occhi sulla dittatura di fatto – deve essere oggi in qualche modo reinterpretato. A causa della trasformazione delle pratiche autoritarie della politica occidentale, della loro capacità di trasformarsi continuamente, di mimetizzarsi spostando continuamente il problema  o anestetizzando la ragione attraverso l’incantamento dei bisogni, la donna e l’uomo comuni pare non riescano più a indignarsi. Non che l’omicidio di Matteotti avesse a suo tempo indotto la massa a prendere posizione… Ma oggi la drammatica eliminazione fisica di una persona scomoda non è tra i mezzi impiegati dal potere, a meno che – mutatis mutandis – non sia un simbolo stesso del male, con Osama Bin Laden o forse lo stesso Gheddafi. Il potere si è adeguato alla sensibilità contemporanea, la stessa che nello stesso tempo ha contribuito a creare, e così non possiamo aspettare che la nazione si ribelli indignata, perché non ci sarà un fatto eclatante che la costrigerà a farlo. Lo desideriamo, forse, ma temo non possa accadere.

Il percorso, in obbedienza alla fluida complessità nella quale nuotiamo, è drammaticamente più lento. E’ una sorta di tam-tam personale, un aprire gli occhi di singole persone finalmente convinte a svelare la menzogna, grazie al lavoro di altri singoli.
Spesso questo lavoro rimane sotterraneo, come quello descritto dalla raccolta di Guido Turus e Lorenzo Capalbo in Per l’Italia. 150 anni di cittadinanze attive per conto del MoVI e pubblicato da Esedra, presentanto nell’ambito del Festival della Cittadinanza.
La storia unitaria ha potuto godere di una spina dorsale costituita dall’opera di donne e uomini che hanno, ben prima della nostra Costituzione ma nel Suo spirito, elaborato azioni inedite le cui conseguenze sono state di dimensione sociale e culturale. Come una sorta di “astuzia della ragion solidale”, l’impegno personale si è trasformato in buone pratiche e buoni leggi, anche al di là forse degli intendimenti del singolo.

Ora, questo impegno esiste e chi getta anche solo un occhio distratto al cosidetto mondo del sociale può scorgerne la vastità e la potenzialità. Chi intuisce uno spazio di bisogno si attiva e se ne fa carico, fondando associazioni, denunciando misfatti o solo prendendo parte ad organizzazioni esistenti.
Il problema sembrerebbe consistere negli “altri”, quelli banalmente accusati di indifferenza o di egoismo… Quelli del “me ne frego”. Ecco, io penso che qualora essi esistano realmente, e cioè al di là delle generalizzazioni, è perché sono stati in qualche modo creati da alcuni atteggiamenti degli “impegnati”.
Il primo che mi viene in mente è una sorta di retorica della resistenza: noi, pochi e buoni, e voi, il popolo bue. Il giudizio per cui alcuni solo si salvano e quindi alcuni non potranno entrare nel Regno dei Cieli può essere pronunciato solo da pochissimi, che di solito hanno pagato cara la propria corenza.
Un altro è ben più grave: l’orrenda frammentazione del sociale padovano (almeno), la logica del campanile applicata al solidale. Un esempio, che rilevo cercando di mettermi dalla parte di un osservatore “lontano” ma incuriosito: perché questi due eventi (questo e quest’altro) così simili per “bacino d’utenza” sono stati pensati nel medesimo week-end?

 

6 risposte a “la cruna dell’ago”

  1. Unire le forze per risolvere un problema comune sembra la cosa più semplice, ma in un paese che lo ha visto costellato di moltissimi movimenti politici, e tutt’oggi arranca su un bipolarismo che lascia ancora spazio a mille individualismi, penso che la difficoltà di fare “unione” sia endemico al comportamento umano rivolto alle “necessità“e ai “bisogni”.
    Quando si scoprono, nasce l’impellenza di soddisfacimento o con la ricerca di risposte già confezionate, molto spesso vana e/o insufficiente in quanto si prendon per buoni dei surrogati, o con il creare le risposte giuste in quanto spinti da una “bontà d’animo”.
    La generosità del fare e del donare vien vista buona di per sè, non discutibile, assioma. Lo stesso avranno pensato i militari russi e gli alleati quando hanno liberato dai campi di concentramento nazisti le migliaia di prigionieri denutriti: ecco a voi cibo in abbondanza…. e sappiamo che ciò non ha fatto bene proprio a tutti…..

    Citi due eventi similari in ambito regionale, si possono riportare eventi nello stesso comune o anche nella stessa parrocchia (!), e ci chiediamo giustamente il perchè……

    La risposta molto spesso è che manca la comunicazione, manca un coordinamento, manca…

    Forse potremo uscire da tale cornice e vedere che più persone agiscono in tal senso, che solo se agiscono nello stesso senso potranno poi consapevolizzare dell’opportunità di agire assieme… lasciare tempo al tempo…. gli stati democratici sono nati dopo lunghe e sanguinose battaglie nell’arco della storia… forse il “mondo del volontariato” ha bisogno di tempo…. personalmente penso che ci vorrebbe anche meno fanatismo ideologico (p.e. meno manicheismo) …..

    1. Unione… Comunicazione… Coordinamento… Sono termini di una scala evolutiva. Ma che cosa fare adesso per evolvere davvero?
      Si tratta di tempo, è vero. Ma quante volte questa è una scusa? (ovviamente non penso al tuo caso, ma a chi ha già deciso che “Insieme” non conviene)…

      1. L’osservatore attento (spesso comparente a giochi fermi) ha il privilegio di poter cogliere gli indizi e i segnali precedenti all’evento che portano alla conclusione nota, in quanto già avvenuta, e gli pare quasi impossibile che gli attori non ne avessero previsto l’esito così “evidente”.

        Purtroppo quando si è dentro al turbinio dell’agire (specie se con scadenze, obblighi, complessità, ecc.) non si ha la chiara e piena visione di quanto sta succedendo attorno. La pre-visione non è scienza certa….

        Il libro della Sclavi che sto leggendo mi sta dando ancor più stimolo ad una modalità di osservazione che un tempo facevo saltuariamente: non dare nulla per scontato e cogliere i propri “pregiudizi” e cornici di contesto che in automatico usiamo nel valutare la realtà. A ciò mi ha aiutato e mi aiuta tuttora l’aver letto dei libri di scienza che trattano dei confini del conoscibile (meccanica quantistica e relatività) ove i parametri di esperienza terrena “saltano” come birilli colpiti in uno strike.

        Evoluzione….. è un termine che nella legge naturale richiede molto, moltissimo tempo per attuarsi…. la comparsa dell’uomo (sapiens) è relativamente recente, nonchè del linguaggio… la scrittura poi è di solo qualche migliaio di anno… e via dicendo fino ai giorni nostri…

        Pensiamo per esempio ai progetti di Leonardo da Vinci: se attuati in quell’epoca avrebbero dato un’accellerazione enorme al progresso ed alla tecnica (pensiamo solo alla bicicletta) ma tutto
        resto fermo per mancanza di scuole e di strutture che potessero portare avanti quelle idee e quei studi.

        mah forse la risposta sta qui… strutture o scuole che portino avanti le idee migliori…. tramandatori….

        di scuse non amo parlare in quanto ritengo che anche il più tenace illuso di poter fermare gli eventi, verrà travolto dall’impeto dell’inevitabile….

        Sbagliare poi fa bene…. consente di vedere come non si fanno le cose… come diceva Edison “non ho sprecato migliaia di tentativi nel fare una lampadina: bensì ho imparato migliaia volte meno una modi di come non va fatta”

        chissà forse ci vorrebbero queste migliaia di prove sociali… :))

  2. “Dio ci salvi dai buoni!”, si potrebbe esclamare, dai buoni che per esserlo hanno un disperato bisogno dei cattivi, per avere qualcosa – di opposto – rispetto al quale definirsi e avere un’identità, uno scopo, una missione.
    L’accesso al posto di “buoni” è rigorosamente a numero chiuso, in alcune associazioni, abbondano invece le offerte per bisognosi o, appunto, cattivi. Per fortuna non è così dappertutto.
    Sulla, per così dire, “retorica della resistenza”, consentimi di dissentire… quando il partigiano Otello “Renato” Pighin era attivo all’Istituto di Macchine della Facoltà di Ingegneria a Padova, ha coinvolto e formato moltissimi giovani studenti, e non solo.
    Ma temeva l’anestesia che un po’ di pace ed abbondanza avrebbero portato, temeva che un po’ di pane e minestra avrebbero presto fatto scordare quanto è cara la libertà.
    Come Pighin hanno agito in tanti, nella Resistenza, ed erano dannatamente pochi. Quello che hanno conquistato, però, è stato per tutti.

    http://www.youtube.com/watch?v=VUtKDLG9J-w

    1. ciao I
      d’accordo su tutto. Ma è bene per me specificare che non parlo di Resistenza, cioè del movimento e dei suoi principi, ma di resistenza, con la erre piccola.
      E intendo, con “retorica della r” la tendenza di alcuni intellettuali e operatori sociali, collocabili specie a sx o in area cattolica, di sentirsi “unti”, di sapere
      che sono i “pochi ma buoni”, di dirsi che “per fortuna ci siamo noi”. Insomma di comportarsi come gruppo arrabbiato, autoreferenziale, costretto a portare il vessillo del Vero e del Buono contro una maggioranza imbelle. Che magari sociologicamente esse esista, può essere; ma se non ci fosse viene creata con atteggiamenti alla fine elitari.
      Quanto alla Resistenza, vorrei volentieri parlarne. Penso che la linea Meneghello-Fenoglio-Calvino sia andata già da subito in minoranza e i fatti si siano come persi a favore delle parole.
      La generazione precedente la nostra ha avuto per anni un partigiano in classe e – come noi per il 27 gennaio – ha finito con lo sciuparne il valore.
      gvr

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