Astio condiviso e apatia


Stando a quanto si legge nell’intervista a Franzen riportata da La Repubblica, il procedimento giudiziario intentato in Germania contro il fondatore di Facebook dovrebbe suonare come una sorta di rivincita, alle orecchie dell’autore di Purity.

Secondo Franzen: 

Il fenomeno Trump è inimmaginabile senza Internet e i social media. Internet ha creato un mondo in cui si può vivere immersi nella la propria realtà virtuale senza doversi mai confrontare con la realtà nel vecchio senso del termine. E Twitter non fa che peggiorare le cose, perché non consente sfumature né complessità. Verrebbe da pensare che postare dei tweet detestabili su una ex Miss Universo alle tre di notte squalifichi un candidato alla presidenza, ma nel mondo di Twitter non esiste distinzione tra pubblico e privato. Se si vive in quel mondo il tweet di Trump, carico d’odio nel cuore della notte, sembra perfettamente normale. Si apprezza Trump perché è “vero”

Franzen non è nuovo a ragionamenti simili, secondo cui la Rete avrebbe il demerito di a. Confondere reale e virtuale e b. Abolire la complessità. E così anche Trump ne sarebbe un sottoprodotto, o almeno sarebbe tale il fenomeno politico a lui collegato, ovvero in altri termini le motivazioni che spingono una parte di aventi diritto a seguirlo. Che su Trump la questione sia un poco più complessa – e allora forse alcune tesi sulla fine della complessità non dovrebbero essere veicolate da una intervista – lo ha dimostrato tempo fa, in Italia su Internazionale, un reportage di Dave Eggers, L’America vista da un comizio di Trump (che non trovo on line se non in inglese, qui).

Ho la sensazione tuttavia che il Web sia solo l’ultimo tratto di un cambiamento ben più imponente. In primo luogo la Rete non fa che ampliare e rendere totalizzante la “logica del telecomando”, secondo cui se alla prima occhiata l’immagine non fa per me, il dito immediatamente mi porta altrove. Lo zapping è l’antesignano della voracità con cui si scorrono i Social. Ora, di per sé, il telecomando non ti dice se ciò che vuoi evitar di guardare o quello su cui ti fermi sono prodotti culturali di qualità o meno. Obbedisce alla tua intuizione del momento, governata da qualche bisogno carsico. Allo stesso modo, la Rete non opera una scelta per te, o meglio, la opera in modo a te incomprensibile, attraverso algoritmi non accessibili ai più. Il cosiddetto virtuale quindi non è l’irreale, ma il massimo della tua realtà fisica di quel momento: un bisogno, una emozione. Che spesso non conosco e a cui non do un nome.

Come intravisto da Baricco nei suoi Barbari, siamo di fronte all’abolizione di qualsiasi gerarchia di valore e ciò ovviamente fa rabbrividire chiunque parta da una prospettiva valoriale di qualsivoglia tipo. Ma non somiglia tutto questo al grido del folle in Nietzsche? L’abolizione di tutti i valori fu da parte sua una presa d’atto, più che una scandalizzata denuncia. E l’avvertimento riguardava il pericolo di costruirsi nuovi idoli, al posto di quelli frantumati. Il Novecento ha fatto del suo meglio, costruendo davvero mondo virtuali ai quali tendere e verso cui trascinare le masse, in nome dell’Uguaglianza, della Nazione, della Razza. Astrazioni, ma portatrici di morte Finì dunque che il mondo vero continuò a divenire favola, ma contro Nietzsche. Ora l’idolo parrebbe il Soggetto, l’io.

A me pare che ci sia ancora, in Franzen, la nostalgia di una guida. Non in termini totalitari certo, piuttosto più vicini alla Missione del dotto di Fichte: qualcuno o qualcosa che salvi le masse dal l’indifferenza della Rete, che le porti alla liberazione attraverso l’intelligenza. In Purity il tentativo dello pseudo-Assange è destinato alla sconfitta, parrebbe. Ma se all’origine sta il dito, che usa il telecomando o sfoglia il tablet, allora si potrebbe trovare una via più efficace negli stoici e contrapporre all’indifferenza forzata della Rete, la loro indifferente apatia, il saper dare un peso adeguato a ciò che incontriamo. Forse dovremmo tornare a studiare Seneca, Marco Aurelio, magari sotto la guida di Pierre Hadot.

2 risposte a “Astio condiviso e apatia”

  1. Curioso che un articolo di giornale (mi pare di ricordare che fosse de “Il Fatto Quotidiano”) attribuiva la vittoria di Trump proprio a questo passaggio di ruolo tra la televisione e Social Network in una campagna presidenziale statunitense.
    A Trump si deve riconoscere indubbiamente l’intuizione di aver capito quale fosse il terreno più fertile in cui giocare la propria campagna elettorale.
    Assieme al suo team è andato a catturare l’attenzione di una vasta parte del corpo elettorale lì dove ella pone maggiormente attenzione: nei social network . Attirando su di se i voti di quell’America delusa da otto anni di presidenza democratica targata Obama- Biden e ancora soggetta alla forte depressione per una crisi economica mai del tutto superata.
    Dopo queste considerazioni mi sono fatto tre domande:
    1. Basta così poco per diventare una delle figure politiche più influenti al mondo? Un semplice algoritmo che racchiude le tendenze in auge nella rete può condizionare al punto di sopraffare l’intelligenza umana?
    2. Quello dell’elezioni statunitensi è un esempio di una tendenza più ampia?
    3. Come porre rimedio a questo?
    Ecco mi concentrerò proprio su quest’ultima. Mi viene in mente quanto ho studiato per un esame di storia del diritto medievale e moderno. Nella Serenissima Repubblica di Venezia ai suoi più grandi comandanti non si era soliti attribuirgli epiteti quali valoroso, coraggioso o illuminato ma bensì quello di “imperturbabile”. L’imperturbabilità cioè quella capacità di estraniarsi, quella naturale e innata tendenza a non farsi coinvolgere era tra tutte le doti quella che, secondo le usanze del tempo, faceva grande un condottiero. Ecco credo che questo sia sicuramente un primo elemento (molto simile a quanto si suggeriva sopra in merito all’apatia stoica) che deve però accompagnarsi con una continua ricerca e studio volto all’acquisizione di strumenti utili per il discernimento. Dobbiamo cercare di essere pronti e preparati distinguendo secondo consapevolezza di sé e conoscenza di qualcuno o qualcosa, le provocazioni che ci vengono quotidianamente proposte. Credo, ma questa è una convinzione tutta mia, che farlo faccia parte della cittadinanza attiva.
    A presto.
    Ric

    1. Molto interessante questa nota storica, che non conoscevo. È tutto un altro modo di intendere l’uomo forte, di cui pare si senta nostalgia! Ho letto alcuni articoli su Obama negli ultimi tempi, e penso che possa essere descritto così. Tra l’altro, in un reportage su Internazionale, si suggeriva come la vittoria di T possa essere legata con il razzismo insito nella cultura americana. Non è “solo” atteggiamento violento di alcuni cops, né attacchi sui social. Si tratta di dati sulla scolarizzazione, sul reddito, sulla mobilità degli afroamericani. Gli Usa non ci hanno ancora fatto i conti. Come da noi, non abbiamo mai fatto seriamente i conti col fascismo culturale che ci abita, né quindi con un antifascismo maturo.
      Grazie! Gvr

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