Memoria della Dignità

“Ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli”
(Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982)

Paolo Borsellino

Domani, vent’anni fa, veniva ucciso Paolo Borsellino.
QUI un articolo di Saviano a commento dell’anniversario e di questo libro di Enrico Deaglio (QUI un’intervista all’autore tratta dal Fatto Quotidiano; QUI alcuni passaggi).

QUI un sito intitolato all’ultimo giorno di vita del magistrato.

Da questo sito riporto due immagini, tra le molte regalateci dal figlio Manfredi, che mi hanno colpito. Vita e morte di un uomo normale.

(Autunno 1976, con la figlia)

(Il rito funebre)

 

 

L’uomo disarmato va alla guerra

L’attuale pontefice, Benedetto XVI, torna periodicamente sulla necessità di un rinnovato ruolo intellettuale per i cattolici. Naturalmente non è semplice né immediato comprendere in che senso questa missione debba essere intesa, per quanto personalmente m’intimorisce la possibilità di un fronte cattolico impegnato a moralizzare la vita pubblica italiana, fornendole un quadro etico fondato sull’appartenenza religiosa. Quando la fede si fa certezza, nascono gli steccati.

Lo sguardo del prete Luisito Bianchi, scomparso da poco, che pure è dotato della fermezza del profeta, è di altra natura. E questo suo libro, sotto forma di romanzo, suggerisce un’altra possibilità, praticata e feconda nel nostro paese, ma in modo sempre – forse per scelta, forse per necessità – minoritario.

La Messa dell’uomo disarmato è un’opera sulla Resistenza, o meglio ancora sulla Parola. Che cosa ha a che fare la buona novella con le armi e le battaglie e il sangue sparso sulle colline? Non è forse anche questo il trionfo di una parte-contro, partigiani appunto, di uno steccato di divisione tra gli uomini? Mi pare utile un riferimento a Luigi Meneghello, il quale sosteneva che la scelta dell’esser “banditi” era per questi ragazzi la coniugazione miracolosa di quanto si dovesse fare, l’imperativo civile, con ciò che si desiderava fare, quanto il cuore indicava con veemenza. Bianchi inserisce un terzo piano, quello spirituale della vocazione in senso ampio: prender posizione contro il regime nazifascista poteva essere il modo di rispondere ad una chiamata, di seguire la Voce. La Parola non impone di uccidere, per quanto secoli di integralismo ci abbiano confuso le idee. Impone senza mezzi termini di stare dalla parte dei poveri, di contribuire a costruire (allora), di ricostruire (oggi) l’uguaglianza sostanziale che consente a ciascuno di potersi realizzare come persona in una società.

Luisito Bianchi, da partigiano e poi da prete operaio, non si stanca di cercare i segni della Parola nella vita che gli è stata data. Non, si badi, costringere gli avvenimenti in una interpretazione fideistica, ma al contrario, mettersi in ascolto di come lo Spirito parli sempre e comunque, in linguaggio diversi da quelli addobbati dall’Istituzione. Ecco che la guerra sulle colline diviene, per quanto assurdo possa sembrare, una pratica di non violenza, un tentativo non sempre efficace di mettere gli uomini gli uni di fronte agli altri per confrontarsi. Con il limite drammatico per cui non si può parlare con chi intende zittirti con la forza e con l’usurpazione.

Il romanzo, che prima di essere raccolto da Sironi girovagò quasi clandestino in ciclostile, è complesso e impegna il lettore con un linguaggio denso, talvolta sul filo della retorica, ma sempre alla fine capace di far risuonare qualcosa di vivo; la sua anima è la vocazione monastica benedettina, che diviene – nelle parole di un abate così saggio da sembrare immaginato – ricerca dell’uomo prima che ricerca di Dio, se la seconda dimentichi la prima. E così obbedire alla Parola significa in primo luogo comprendere che cosa ci è chiesto e quindi accompagnare il popolo, inteso proprio come laos – laici – moltitudine delle persone affidate dal Padre a ciascuno di coloro che si mettono in ascolto. Custodirne la vita, e anche la morte, sia essa il frutto degli anni, o assuma le sembianze di un martirio, cioè testimonianza. Se è poi vero che nella morte partigiani o militi sono uguali, e che ciascuno ha il diritto di celebrare i propri caduti, è altrettanto vero che il significato di queste morti è radicalmente diverso, perché rimanda a visioni opposte di futuro e di convivenza.

Quei cattolici, preti o meno, che dalle Langhe ad Asiago presero le armi o rimasero inermi per scelta dovrebbero costituire un riferimento nella trasformazione che questa crisi ci impone: non adunare novelle schiere di monaci guerrieri per gettar luce su di un mondo buio, ma disarmarsi per poter cogliere quel “soffio di Dio” capace di distruggere gli idoli e vedere bellezza ove pare non ve ne possa essere.

(Luisito Bianchi, La messa dell’uomo disarmato, pp. 864; e. 19,00; Sironi editore)

Carlo Rosselli vive e lotta. Con noi?

Il 9 giugno scorso, anniversario dell’omicidio fascista di Carlo Rosselli, lo storico Nicola Tranfaglia ha tenuto presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi questo discorso di presentazione del suo volume biografico sul Rosselli medesimo.

Gli elementi che caratterizzano la personalità di Carlo Rosselli (ma anche quella di suo fratello Nello che pure si dedicava anzitutto alla storia del Risorgimento) e la sua azione politica in Italia, in Francia e nella Spagna della guerra civile del 1936 non sono difficili da indicare.
Carlo costituì nella lotta contro il fascismo, prima in Italia, poi in Francia e in Spagna un punto di riferimento centrale per quella parte degli italiani che non vollero accettare la dittatura e cercarono di combatterla su una piattaforma politica e liberalsocialista, fortemente critica verso il movimento comunista ma, nello stesso tempo, attenta alla sua evoluzione.
Dopo l’esperienza del settimanale “Quarto Stato” inieme al repubblicano e socialista Pietro Nenni che chiedeva una forte mobilitazione delle coscienze in senso contrario al fascismo e un’aperta critica degli errori compiuti dal movimento socialista, Rosselli pubblica il saggio sul Socialismo liberale (che sono riuscito a far ripubblicare dal Corriere della Sera il 12 marzo di quest’anno) puntando su un socialismo, nutrito di un metodo liberale moderno, in grado di dare un peso preponderante al problema sociale come al ruolo della libertà e della volontà umana nel farsi della storia.
Sia attraverso i “Quaderni di Giustizia e Libertà”, pubblicati dopo la fondazione del movimento politico di Giustizia e Libertà fondato a Parigi nel 1929, sia attraverso il settimanale con lo stesso titolo fondato nel 1934, dopo lo scioglimento della Concentrazione antifascista, Carlo dedica la sua attenzione, da una parte, all’analisi del fenomeno fascista, dall’altra all’Italia che dovrà risorgere dalla dittatura e costruire una democrazia sociale moderna capace di realizzare quegli ideali di libertà e giustizia sociali necessari per battere tutte le tentazioni populistiche e dittatoriali che si possono presentare.
Ora sul pensiero di Rosselli e sulla sua battaglia complessiva non posso scendere nei particolari e devo rinviare al mio ultimo lavoro su Carlo Rosselli (1899-1937) e il sogno di una democrazia sociale moderna, che ho presentato all’Istituto di Cultura italiano a Parigi il 9 giugno scorso, proprio nell’anniversario dell’assassinio compiuto dal Sim e dalla Cagoule, per ordine del ministro fascista Galeazzo Ciano, di fronte a una sala piena di italiani e di francesi.
Qui vorrei sottolineare due aspetti della sua battaglia politica che mi sembrano ancora molto attuali.
Il primo riguarda alcune caratteristiche del regime fascista, di cui il populismo berlusconiano riproduce purtroppo – pur con le inevitabili differenze del tempo passato – alcuni tra i difetti maggiori.
La prima caratteristica si ricava da un appunto inedito di Carlo Rosselli scritto per una riunione di dirigenti di Giustizia e Libertà a Parigi nel 1932: “Il carattere supremamente ripugnante della dittatura moderna fascista non consiste nella forza e nella soppressione delle libertà — fenomeni questi propri a tutte le tirannie — ma nella fabbrica del consenso, nel servilismo attivo che essa pretende dai sudditi.”
La seconda caratteristica si trova in una indicazione che emerge da un articolo apparso due anni dopo, nel febbraio 1934, sul numero 10 dei Quaderni di Giustizia e Libertà: “Lo Stato Corporativo non è che lo strumento tecnico della reazione moderna, una contraffazione a fini conservatori del movimento operaio libero e creatore. Di fronte alle grandi masse che raduna l’industrialismo moderno, l’assenteismo dell’ancien regime che aveva a che fare con popolazioni sparse e artigiane, non è più possibile. Al movimento di massa è gioco-forza opporre una reazione di massa. Alla lega operaia il sindacato di Stato. All’ideale di una produzione associata, socializzata, la corporazione.”
Sul comunismo il suo discorso è altrettanto chiaro. Critica radicale alla dittatura marxista staliniana e alle atrocità del regime dispotico ma difesa della rivoluzione “che ha distrutto l’autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa rivoluzione l’amiamo e la difenderemo.”
Se alla storia di Carlo e di Nello Rosselli, si aggiungono le storie giudiziarie che hanno sempre assolto i mandanti dell’assassinio in Francia, come nell’Italia del secondo dopoguerra, e il veto opposto prima da Charles De Gaulle in quanto capo dello Stato francese, dai suoi immediati successori e poi nel 1981 da Francois Mitterrand per non consentire agli storici di tutto il mondo (me compreso) di consultare i fascicoli della Cagoule negli archivi nazionali di Parigi, si ha il quadro della vera e propria persecuzione in vita e post-mortem che hanno subito i due fratelli Rosselli, autentici simboli e martiri dell’Italia democratica, liberalsocialista  e antifascista.

La prima edizione del libro su Carlo Rosselli di Nicola Tranfaglia (Baldini Castoldi Dalai, 2010, pp 507, Euro 22)  fu pubblicata da Laterza nel 1968 con il titolo Carlo Rosselli: dall’interventismo a Giustizia e Libertà, e esplorava in maniera analitica la formazione di Rosselli, il suo pensiero giovanile e la sua azione politica in Italia fino al 1930. In questa edizione la vita e l’opera di Carlo Rosselli vengono restituiti anche gli anni parigini e la attività di Rosselli come leader di Giustizia e Libertà, le sue pubblicazioni e i rapporti con gli altri movimenti antifascisti in esilio, fino all’assassinio di Bagnoles de L’Orne il 9 giugno 1937. Tranfaglia offre ai lettori non solo italiani la biografia completa di uno dei più grandi combattenti nella lotta al fascismo, l’uomo che prefigurò la repubblica democratica nata infine nel 1946 e che ha contrassegnato il dibattito politico a sinistra anche nel secondo dopoguerra. Nicola Tranfaglia ricostruisce le vicende pubbliche e private di Rosselli, la sua azione e il suo pensiero, le concezioni politiche e culturali alla base di uno tra i maggiori e più originali esponenti dell’antifascismo europeo. In Italia, ma anche a livello internazionale, le ricerche di Tranfaglia sono considerate un imprescindibile riferimento scientifico e culturale per la comprensione del progetto rosselliano: cioè di quel connubio tra pensiero liberaldemocratico e socialismo liberale che in Italia non si è realizzato nel primo sessantennio della Repubblica, ma che oggi la sinistra più avanzata persegue come unica alternativa credibile al populismo autoritario affermatosi negli anni Novanta.

Il pezzo è tratto da qui.