Barbagianni radicali

Sono capitato in questo sito non per il nome che porta, che rende questo blog parente stretto, ma per un caro amico che me lo ha segnalato.

Ecco – mi son detto leggendo il post di Arianna, cui rimando – che cosa dobbiamo fare? Siamo circondati da persone tristi e arrabbiate, non tutte certo, ma provate ad aguzzare la vista e a tendere le orecchie: ficcate il naso nei discorsi altrui, fate quello che mamma non vorrebbe, impicciatevi… In tram o al supermercato, in fila alla posta o alla cassa dell’autogrill. Persone abbruttite dai giorni, appesantite da relazioni zoppicanti, ingrigite da micromessaggi violenti scambiati con chi dovrebbe star loro a cuore. Arrabbiate. Contate i sorrisi che incrociate. Una signora l’altro giorno guarda la bimba in carrozzina ed esclama: ciao bella! Fà un sorriso a questa bisnonna. E poi, tra sè (noi eravamo invisibili, a quanto pare): sono belli, peccato che poi crescano.

Una società di bambini carini. No bambini, no party. Questo si vorrebbe. Una società semplice: tutti buoni, bianchi, puliti, cattolici (da salotto, o da ministero, come direbbe Camus). Il trionfo del deodorante. Affogare le tristezze nello Chanel n. 5.

Ma la verità – si, la verità – è che la società è complessa. Che gli altri, chiunque essi siano, non sono facili, né puliti, né bianchi. Sono quello che sono e come sono è il loro miglior modo di essere in quel momento. Anche la vecchia immalinconita: nella sua battuta c’è il suo modo di stare. Di sopravvivere. Peccato non abbia il tempo di accorgersi che può affrontare questa sua malinconia.

Per questo la Comunità del Barbagianni è segno di profezia. Non parlo di guardare nel futuro e dirci che cosa ci aspetta. Quella è divinazione. Parlo di pro-fezia, di parlare-per. Per chi non vede alternative. Per chi è scoraggiato. Per chi non sa come ricominciare. Per chi cerca ancora segni di fede concreta. I profeti sono gli ultimi politici: costruiscono nuove poleis, tracciano sentieri, come quelli di Isaia, nel deserto.

pratiche di resurrezione

Martedì scorso l’Istituto nel quale lavoro ha ospitato questo progetto della Comunità di San Patrignano. Dateci un occhio, io vi scrivo quel ho pensato e sentito.

Le questioni sui metodi usati in comunità, probabilmente più in passato che ora (uno dei responsabili, nel colloquio con i docenti ha parlato dell’aver dovuto imparare dai propri errori, in maniera generica, ma sincera), qui non ha importanza. Si tratta invece di aver individuato una formula interessante – ed efficace – per proporre il macrotema “droga” agli adolescenti.

Il primo dato importante è che l’informazione tecnica sulle droghe lascia il tempo che trova. I ragazzi accedono quotidianamente a decine di forum in rete nei quali viene spiegato tutto, dagli effetti al bricolage chimico, ai luoghi reali o virtuali dove acquistare prodotti finiti o materie prime.

Il secondo dato è che parlare di droga mettendo in evidenza la distruzione della vita è una strategia che contiene non solo una logica punitiva per gli ex-tossici, ma anche un messaggio che non permette di andar oltre l’annichilimento sociale che concorre al problema. Il dibattito sulla droga è banale e banalizzato, incastrato nelle polemiche tra legalizzatori e iper-rigidi, tra leggero e pesante, tra droghe illegali e droghe tollerate, come l’alcol. Insomma non tiene conto di che cosa sta dietro. Dietro al mercato del farmaco, come baraccone sostenuto da chi ha convenienza ad individuare la soluzione chimica per ogni micro dolore umano. Dietro alle singole vite di donne e uomini che passano nel buio fitto del silenzio della ragione e conducono se stessi e i propri cari all’autodistruzione.

Al contrario questo progetto punta a mettere al centro la possibilità di uscirne. La strada per tornare ad essere innamorati delle cose e della vita. Può sembrare retorico, detto così. Non lo è se si ascoltano da due protagonisti veri di queste vicende le narrazioni delle proprie normali esistenze, prima durante e dopo. Luca e Riccardo, sul palco insieme al regista e sceneggiatore Francesco Apolloni, sfruttando la dinamica del reality, parlano di se stessi. Non lo fanno da attori protagonisti, perché non interpretano il timore di parlare o cantare, l’imbarazzo, l’emozione di ripensare a papà e mamma. Ma così come sono, si propongono.

La vita parla di sé: la vita parla da sè. Non servono tirate moralistiche, nè rimproveri accigliati. I ragazzi raccolgono un’emozione e questa ricorda loro che la vita è già stupefacente. Al termine Apolloni rammenta al pubblico che alcuni studi dicono che stiamo meglio se ci abbracciamo almeno cinque volte al giorno con qualcuno. E così ha chiesto a noi in platea di farlo. Vinto l’immediato imbarazzo, adulti e ragazzi si sono abbandonati.

Una cosa impossibile nella dinamica glacialmente cartesiana dell’istituzione scolastica. Ho potuto davvero godere di quegli abbracci.

pastorale italiana

Venerato Confratello,
mi è stato segnalato l’articolo che Lei ha inviato al settimanale “Tempi”, confermato da un’intervista a La Stampa. Questo ha stimolato la mia antica abitudine di scrivere “lettere aperte”; avevo già respinto la tentazione di farlo con i nostri Superiori, non ritenendolo corretto, mi permetto di farlo ora con Lei, Vescovo autorevole, ma sempre a livello di responsabili – anche se io sono emerito -  di diocesi comuni. Perché, per quanto giro in Italia, sento spesso la lamentela dei cristiani di fronte alla mancanza di “indignazione” – che Lei dice non essere “atteggiamento cattolico” – di noi vescovi di fronte al malcostume della politica, e non solo per gli scandali “privati”, ma anche per la moda invalsa di leggi ad personam, proposte – si dice -  per difendersi da una Magistratura che esorbita dalla sue funzioni (Lei lo dice “muoversi con prepotenza”), ma che in realtà non fa che assicurare che la legge sia uguale per tutti. Anche se non poche di queste accuse vengono dimostrate serie e verosimili, dal fatto che si pensa non di difendersi da esse, ma di scavalcarle con leggi specifiche e con ben calcolate prescrizioni. Quanto all’indignazione, anche Gesù più di una volta si è indignato, e proprio contro chi utilizza la posizione pubblica a difesa dei propri interessi personali o di casta.
Ella rivendica, nella espressa difesa del Governo e del suo Presidente, l’appoggio che essi danno ai “principi non negoziabili”, quali la difesa della vita al suo inizio e al suo termine o della famiglia naturale: e questo giustificherebbe il sostegno, senza indignazione, ad un Governo che si mostra invece insensibile di fronte a quello che è il fondamentale “principio non negoziabile”, che è la solidarietà; perché se questa si esprime davanti alle vite più deboli, come sono appunto quella iniziale e quella terminale, ma, per essere convincente, deve impegnarsi anche contro tutte le vite minacciate, come sono quelle di quanti sfuggono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Governo (quante vite umane sono sparite nel nostro mare o per le imposture della Libia!). Anche per le consonanze cristiane non si è fatto nulla per favorire la vita nascente con leggi che incoraggino il matrimonio e la procreazione, come ha fatto la “laica” Francia.
Ella ribadisce che, dei politici, andrebbe valutato solo il comportamento pubblico (appunto, così contrastante dunque con il primo principio “non negoziabile”, quello della solidarietà) e non quello privato, pur così poco favorevole sia alla famiglia che alla vita nascente; ma già gli antichi ammonivano che “noblesse oblige”, cioè che chi sta in alto deve dare il buon esempio, perché esso – tanto più in quest’era mediatica – influisce sull’opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi, cioè il diffondersi, soprattutto nei giovani, dell’opinione che quello che conta è “fare i furbi”, è riuscire in ogni modo a conquistare e difendere il proprio interesse, il bene particolare, anche a costo di compromessi, come abbiamo visto nei genitori e nei fratelli che suggerivano alle ragazze di casa di vendersi ad alto prezzo. Non solo così si diffonde l’idolatria del “fare soldi” e del “fare quello che si vuole”, che Gesù indica come la vera alternativa a Dio (“o Dio, o mammona”), ma la stessa CEI da anni, soprattutto nelle Settimane Sociali, insiste sul primato del “bene comune” come impegno specifico dei cristiani! E invece i giovani hanno poche speranze di un lavoro stabile, gli operai – soprattutto se donne – non sono difesi dai ricatti dei “padroni”, mentre gli stessi immigrati sono respinti, sfruttati, troppo spesso ricattati perché, se “in nero”, non possono protestare: giustamente Lei si richiama alla speranza che viene da Cristo, ma questa va “incarnata” nella vita concreta.
All’indignazione Ella contrappone la sofferenza, e la richiede in primo luogo per la persecuzione dei cristiani; credo che se silenzi ed esitazioni ci sono stati lo siano stati in primo luogo dal Governo, preoccupato per eventuali ricadute economiche o politiche. Ed anche la libertà dei cristiani e delle loro opere va rivendicata come uguaglianza ma senza privilegi, proprio per il compito che la Chiesa ha assunto nel Concilio di farsi promotrice di libertà e di sviluppo per tutta l’umanità.
So, caro Vescovo, che la Sua difesa del Governo interpreta il sentimento di una certa parte del mondo cattolico; credo però che essa debba tener conto delle tante contraddizioni che questo ignora – anche per la manipolazione dei media – e che rendono così sconcertata e sofferente tanta parte dello stesso mondo cattolico, proprio anche per certe presunte coperture di noi Vescovi.
Con fraterno augurio per la Sua diocesi – dei cui ho avuto compagni di scuola nel Seminario Regionale di Bologna – in particolare per la imminente Visita del S. Padre.
+ Luigi Bettazzi
Vescovo emerito di Ivrea

Lettera aperta di Luigi Bettazzi a Luigi Negri, vescovo di San Marino Montefeltro
1° Marzo 2011

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Qui un’altra iniziativa importante sul medesimo tema: essa sta ricevendo molti consensi (ma non è importante per questo) e vede in prima linea quel laboratorio che è stato ed è l’Antonianum di Padova.

antischola

Secondo quanto riporta La Repubblica, il Presidente del Consiglio avrebbe detto quanto segue:

“Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori”

Ora:

– insegno in una scuola paritaria salesiana e il mio servizio è pubblico; sono diplomato SSIS (III ciclo) a pieni voti, nonché abilitato all’insegnamento da una commissione statale. Per questi motivi sono quindi annoverabile tra i docenti delle scuole dello Stato

– ho studiato per cinque anni presso il Liceo Scientifico Statale “Alvise Cornaro” di Padova, istituto considerato “di sinistra”, secondo banale vulgata. Non ho mai ricevuto, né esplicitamente, né velatamente messaggi partitici, né ideologici. I miei insegnanti migliori, Giuseppe della Frattina e Maria Teresa Vendemiati, non possono certo essere annoverati tra gli ultras bolscevichi, e nemmeno venir scambiati come stolidi e acritici detrattori (o sostenitori) del potere costituito, di destra, sinistra o centro che fosse

– quanto a coerenza, logica, lessico, capacità di analisi storica e di discernimento ideologico, ho imparato da loro in un’ora di lezione più di quanto non me ne sia venuto da tutti i discorsi pubblici del premier italiano messi in fila uno dopo l’altro

– se il punto precedente venisse tacciato di partigianeria ideologica, la logica che lo riterrebbe tale sarebbe da cosiderarsi non falsificabile, quindi non dimostrativa, ergo puramente retorica

– la mia famiglia può serenamente essere detta cattolica: non ho mai sentito i miei genitori lamentarsi di un’invasione ideologica da parte dei miei docenti liceali

– quanto precede può essere tranquillamente sostenuto anche per i contesti scolastici incontrati dai miei fratelli, da mia moglie e da molte persone sensate da me conosciute

– ho prestato servizio presso (almeno) due licei statali della mia città: ho incontrato colleghi cazzoni, incapaci, banali, ma non ho mai incontrato colleghi con posizioni politiche tali da far del loro lavoro un’opera di proselitismo

– è osceno e oltraggioso che un Presidente del Consiglio svaluti un’istituzione che egli stesso rappresenta, in quanto Primo Ministro di una serie di ministeri che comprende anche quello dell’Istruzione, cioè preposto alle scuole di Stato

– è altrettanto osceno e oltraggioso che possa esserci qualcuno che, un domani, impieghi tali vuote affermazioni per difendere la scuola paritaria. Essa non deve difendersi, se opera in obbedienza al dettato costituzionale. La sua validità non può essere misurata sulla base del sistematico affossamento della scuola statale. Se s’intende istituire un sano confronto tra modelli pedagogici diversi, si diano a tutti gli istituti pari condizioni di partenza, sia come attenta cura della scuola statale, sia come aiuti alle paritarie o alle famiglie. Guai all’uomo che prende le parole dello stolto per difendere il giusto.