delle nevi. Se resisto

L’immagine della testata è tratta da questo bel sito.

Approfitto della neve, sperando di vederla solo in questa foto, per suggerire una poesia di Clemente Rebora, adatta per la fine dell’Avvento.

Ma deve venire,

verrà, se resisto

a sbocciare non visto,

verrà d’improvviso,

quando meno l’avverto:

verrà quasi perdono

di quanto fa morire,

verrà a farmi certo

del suo e mio tesoro,

verrà come ristoro

delle mie e sue pene,

verrà forse già viene

il suo bisbiglio”.

 Qui sotto, nell’immagine di Elena, che ne coglie lo spirito.

la società della prestazione

A ben vedere, il semplice fatto di scrivere un post in un blog è allineato alla logica della prestazione: se scrivo è per render pubblico un pensiero, così che qualcuno legga e si ponga in accordo, in disaccordo o faccia i suoi distinguo. Ma, a parziale discolpa, i miei lettori sono meno di quelli manzoniani. Quindi in pratica scrivo per me.

Sempre qualora si debba rilevare una colpa, un’accusa del tipo: anche tu desideri apparire. Ebbene, sì. Ma non è una colpa: sto al mondo e obbedisco al mondo finché esso non mi costringa ad andare contro me stesso.

Chiamo logica della prestazione una delle possibili linee di forza con cui cercare di spiegare quanto ci circonda. Non ha la pretesa di dire la realtà, ma di offrirne una griglia interpretativa. Giudizio riflettente, lo chiamerebbe Kant. Secondo la LdP, ciascuno di noi è invitato ad agire non con l’obiettivo dell’azione stessa, ma con l’obiettivo di essere giudicato “a posto”, accettabile, degno di riconoscimento e di fiducia. L’obiettivo dell’azione non è realizzare quanto l’azione prevede, i mezzi migliori per un dato fine, ma è spostato: si punta qui, per ottenere un là. Per esempio potrei scrivere questo post non perché ne ho bisogno, o perché voglio gettar luce su un mio garbuglio mentale, ma perché così posso venir letto, commentato. Visto. Per esempio studio non per apprendere, ma per evitare un brutto voto. Gioco a calcio non per la mia passione per questo sport, ma perché così sarò preso in considerazione per una squadra più quotata. Lavoro non per trasformare la natura (sia essa materiale come spirituale) ma per conservare il mio posto, per soddisfare un capo, per pagarmi le rate dell’auto, per mantere alto il livello della qualità materiale di vita.

Il soggetto così non è il portatore dei mezzi verso un fine, e non è nemmeno – secondo il paradigma classico, l’attore della propria realizzazione. Il soggetto agisce per essere oggetto – visto, letto, guardato, riconosciuto o solo accettato. In questo il soggetto/oggetto mette la propria realizzazione. Non mi importa se quanto scrivo è logicamente argomentato, o concerne quanto più possibile la verità dei fatti: scrivo perchè di me si parli. Studio per evitare l’ansia del brutto voto, che genera delusioni in famiglia: quindi se questo è l’obiettivo, non mi interessa che l’azione dello studiare obbedisca a se stessa, perché possono esserci altri mezzi per evitare quell’ansia. Gioco a calcio per arrivare “in alto”, ma se posso arrivarci tramite una “spintarella” il gioco, letteralmente, è fatto. Per conservare il mio posto di lavoro posso anche reperire delle scorciatoie; per soddisfare un capo posso leccargli il sedere; per guadagnare di più posso cercare espedienti sotterranei o anche illegali. Di quel che è lo scrivere, lo studiare, il giocare, il lavorare – in sé – in fondo non mi dò pensiero.

Mi si obietterà che io sottointendo il fatto che ciascuna di queste azioni abbia una propria natura, alla quale posso obbedire o, nella LdP, non farlo. E mi si chiederà di dimostrare questa presunta essenza. Rispondo che non intendo affermare che esista il “lavoro in sé”, ma che esiste qualcosa che riconosciamo collettivamente come lavoro. E questo dovrebbe avere a che fare con una passione, una serie di competenze, un problema da risolvere e la scelta dei mezzi più efficaci per farlo. E così per le altre azioni. Nulla di assoluto, ma solo il tentativo di obbedire al mondo come lo abbiamo costruito e al linguaggio che usiamo per dirlo.

L’elemento deteriore in tutto questo, è che la LdP agisce in maniera carsica. Cioè siamo convinti ad accettare questo tipo di logica come quella ovvia, naturale. Qui sta l’abisso, il fatto cioè che sia la paura il movente ultimo. Se non sei così, sei fuori. La LdP diventa drammatica quando non è oggetto di scelta, di riflessione, di deliberazione. Perché in questa maniera non saremo mai portati a confrontarci con la responsabilità della nostra azione. «Non sono cattiva, è che mi disegnano così» diceva un cartone animato.

effetto telecomando

Al momento, dovrei soffermarmi sull’Aquinate. Tommaso, insomma. Essere e essenza, prove dell’esistenza di Dio, Deus Absconditus et cetera.
Il fatto è che ho la mania, compulsiva a tratti, di sbirciare Fb o Tw per curiosare e vedere che cosa fa il mio “micro mondo”.
Ecco: non dovrei farlo.

Non parlo di questioni di etica professionale, secondo cui, come qualcuno sostiene, è necessario che i professori non annoverino tra i propri contatti gli studenti, né di etica personale, secondo cui non dovrei proprio perdere tempo in quisquilie.

Si tratta di estetica, di teoria del gusto. Il fatto è che mentre al mattino, spremendo l’enorme agrume della storia e della filosofia, cerco di offrire ai miei studenti, con tanto di vassoio e livrea, un concentrato di provocazioni, illuminazioni (altrui), intuizioni… Durante il pomeriggio vedo molti di loro bearsi e beotarsi di riferimenti – veloci link su Fb, battute magrissime e autoreferenziali – che volutamente e consapevolmente raschiano sul fondo ambiguo del barile del linguaggio del Pop, intrattenendosi tuttavia non con le mutande di quella cantante o con l’attore di quella fiction, insomma con materiali ugualmente pop, ma con argomenti cui la storia dell’uomo ha dedicato le energie migliori.

Dio, Cristo, Allah, Buddha. Le sofferenze e i dolori, la malvagità della creatura umana. Le sue soddisfazioni profonde nell’interesse collettivo e non egoistico. L’elenco potrebbe essere lungo. Pensate a qualcosa cui avete dedicato qualche spazio di pensiero e di emozione; qualcosa per cercare il cui nome avete percorso metri e metri di letteratura e di filosofia; qualcosa che ha inchiodato parte (o tutta) delle vostre giornate. Qualcosa di valore, insomma.

E una volta pensatolo, guardate il primo venuto che ci gioca nel fango. Che lo sbatacchia, lo stropiccia, lo sprimaccia e poi passa ad altro, insoddisfatto, l’occhio vacuo che nemmeno un bue. Un po’ un bambino prima, come si dice, di “affrontare il suo Edipo”, prima di prendere atto che i desideri/impulsi possono essere rinviati, o – assurdo! – disattesi. Non voglio evocare il monaco cieco del Nome della Rosa, secondo cui ridere del poco porterà inevitabilmente a ridere del Tutto. Ma rimane la domanda: si può davvere ridere di tutto?

Ecco io penso che la risposta sia no. No, perché è brutto ridere di fronte alla morte, alla sofferenza, alla ricerca, alla soddifazione altrui, banalizzandola . Non moralmente errato. Proprio brutto, come un abbinamento sbagliato in una sera di gala o un palazzone abusivo, una stecca alla Scala o un lago inquinato. Banale è da bannum che sta per legge divenuta consuetudine. E’ la normalità di cui non ci si accorge, paesaggio ordinario, un canale dopo l’altro nell’atto autoconsolatorio del dito sulla tastiera del telecomando. Come se non ci fossero più vette, in questo che sembra talvolta un deserto della mente e del cuore.

Miglior personaggio n-p delle Fiction di Villalga – anno 2011

Sono state rese note dal Comitato Promotore de “Una sera sul divano” di Villalga le nomination per il miglior personaggio non protagonista delle Fiction del 2011.

Questi i characters in lizza:

Nina Miyers, interpretata da Sarah Clarke in 24.

Gillian Foster, di Lie to me, interpretata da Kelli Williams.

Remy “Tredici” Hadley, da Dr. House MD, interpretata da Olivia Wilde

Sunil, interpretato da Irrfan Khan, in In Treatment

Kalinda Sharma, interpretata in The Goog Wife da Archie Panjabi

Mr. Bennet, in Orgoglio e Pregiudizio, interpretato da Benjamin Whitrow

Si accede al voto lasciando un commento nello spazio sottostante,
entro il 31 dicembre p. v.

Che cos’è l’amor

Che cos’è l’amor
chiedilo al vento
che sferza il suo lamento sulla ghiaia
del viale del tramonto
all’ amaca gelata
che ha perso il suo gazebo
guaire alla stagione andata all’ombra
del lampione san soucì

che cos’è l’amor
chiedilo alla porta
alla guardarobiera nera
e al suo romanzo rosa
che sfoglia senza posa
al saluto riverente
del peruviano dondolante
che china il capo al lustro
della settima Polàr

Ahi, permette signorina
sono il re della cantina
volteggio tutto crocco
sotto i lumi
dell’arco di San Rocco
ma s’appoggi pure volentieri
fino all’alba livida di bruma
che ci asciuga e ci consuma

che cos’è l’amor
è un sasso nella scarpa
che punge il passo lento di bolero
con l’amazzone straniera
stringere per finta
un’estranea cavaliera
è il rito di ogni sera
perso al caldo del pois di san soucì

Che cos’è l’amor
è la Ramona che entra in campo
e come una vaiassa a colpo grosso
te la muove e te la squassa
ha i tacchi alti e il culo basso
la panza nuda e si dimena
scuote la testa da invasata
col consesso
dell’amica sua fidata

Ahi, permette signorina
sono il re della cantina
vampiro nella vigna
sottrattor nella cucina
son monarca e son boemio
se questa è la miseria
mi ci tuffo
con dignità da rey

Che cos’è l’amor
è un indirizzo sul comò
di unposto d’oltremare
che è lontano
solo prima d’arrivare
partita sei partita
e mi trovo ricacciato
mio malgrado
nel girone antico
qui dannato
tra gli inferi dei bar

Che cos’è l’amor
è quello che rimane
da spartirsi e litigarsi nel setaccio
della penultima ora
qualche Estèr da Ravarino
mi permetto di salvare
al suo destino
dalla roulotte ghiacciata
degli immigrati accesi
della banda san soucì

Ahi, permette signorina
sono il re della cantina
vampiro nella vigna
sottrattor nella cucina
Son monarca son boemio
se questa è la miseria
mi ci tuffo
con dignità da rey
Ahi, permette signorina
sono il re della cantina
volteggio tutto crocco
sotto i lumi dell’arco di San Rocco
Son monarca son boemio
se questa è la miseria
mi ci tuffo
con dignità da rey