Saverio Tommasi contribuisce a conservare la parola di chi ha saputo dir di no (o di si).
iniziar il volo sul far del crepuscolo
Saverio Tommasi contribuisce a conservare la parola di chi ha saputo dir di no (o di si).
Ancora a giugno è stata pubblicata sul sito del Club della Pipa di Milano una mia breve biografia “in forma di fumo lento” di Dino Buzzati, nell’anniversario della morte.
Per l’occasione è stata creata una pipa dedicata al grande “scrittore” (per le virgolette si veda il link riportatoin seconca riga). Sotto: il logo dell’iniziativa, in cui appare Buzzati disegnato da Mannelli.
Interessante iniziativa dell’Associazione La Lucertola. Questo il programma (il link in blu è QUESTO).
La testata attuale (9 settembre 2012) è tratta dalle immagini di questo articolo.
In esso si rimanda alla vicenda di una rivista letteraria inglese, intitolata appunto “The Owl”, pubblicata tra il ’19 e il ’23. Nel secondo link indicato, in alto a destra, è possibile reperire le immagini, o il PDF, dei tre numeri usciti.
Agli albori del blog proposi la versione inglese (QUI).
Ora Changing Paradigm è stato tradotto in italiano:
Edit: si tratta di un contributo cha ha quasi quindici anni. Ora, non solo è ancora valido, ma è ormai acquisizione interiorizzata da parte de* student* (marzo 23)
Più spesso Socrate descrive [la sua dottrina] semplicemente come un motivo di speranza. (…) O vi è una possibilità che la vita abbia un senso, oppure sarebbe meglio non esser nati. O si può sperare di là da questo mondo in una giustizia per i giusti, oppure non resta che disperarsi per un’esistenza tanto irridente da far re i giullari e tanto tragica da far acclamare dalla torma il martirio degli innocenti. Se non trovassimo una qualche ragione per poter sperare in un’altra esistenza, saremmo annientati dalle troppe occasioni d’infelicità che questo mondo ci offre. Non ci si può salvare che con la speranza, e questa speranza non può essere salvata che con la fede. Per quanto poco sia credibile, il meglio che si possa fare è sempre credervi. Se il tenue filo della logica può condurci alla minima ragione di speranza, occorre stare attenti a non romperlo, e a non permettere che alcuna riserva rimetta in discussione la ragione. Ecco perché “giova fare a se stessi di tali incantesimi” (Fedone, 114d): non bisogna smettere di credere alla ragione, se si vogliono avere motivi di speranza.
(…)
Proprio perché la nostra vita deve testimoniare il nostro pensiero, dobbiamo vivere quello che pensiamo via via che andiamo a scoprirlo. (…) Puntiamo la nostra vita su una speranza, e questa, a sua volta, su qualche associazione logica. Per aver fede in questa aspettativa, dobbiamo quindi esserne convinti, e per credervi è indispensabile identificare la nostra anima col nostro pensiero. Solo così il nostro pensiero si fa “incantesimo”, e la nostra vita testimonianza. Eccoci nuovamente di fronte ad una scelta: o il nostro linguaggio assume la funzione di evocazione e, tenendoci distanti da ciò che descrive e riporta, ascrive il nostro pensiero a oggetti che gli sono esteriori, o agisce da incantesimo e rende interiore tutto quello che enuncia: non solo crea ciò che dice, ma ci trasforma subito in ciò che crea. Attraverso una sorta di mimo interiore, ci dentifichiamo in quello che afferma il linguaggio. Non ce ne distinguiamo più: lo siamo”.
(N. Grimaldi, Socrate, lo sciamano. Il primo guaritore di anime; Asterios, Trieste 2012; pp. 92-96)
Il Cardinale (e mai come adesso ci rendiamo conto di quanto fosse capace di orientare la sensibilità e il pensiero dei cristiani ancora in ricerca) non meritava molte delle cose scritte sui quotidiani in questi giorni, che hanno riportato l’ennesimo pseudo dibattito stracolmo di ideologia, da qualsiasi parte lo si guardi.
Così, per onorarne la figura, riporto di seguito alcune parole significative, lasciate da persone molte delle quali altrettanto luminose e come lui senza fretta di abbottonare la verità addosso alle persone.
Don Angelo Casati, nel luglio del 2002, scrive questa poesia
Gli occhi sul mare
al mio vescovo
Carlo Maria Martini
E ora che il tempo
si è fatto breve
e il cuore si consuma
a trattenere la tua immagine
che sembra svanire lontano,
punto rincorso
all’orizzonte estremo,
ora che gli occhi
sono sul mare
come di chi saluta
pur se la vela è scomparsa,
come le pupille dei discepoli
perdute, sul monte,
in un cielo orfano
del volto,
ora so che anche per l’addio
di un pastore di chiese
può ferire e urgere
agli occhi la commozione
e dilatarsi
fino allo spasimare
delle vene dei polsi.
Sei scritto
come sigillo sul cuore
e sul braccio.
Hai amato queste strade
hai pianto
su questa città .
Ci lasci
-ed è testamento-
la lampada della Parola
e il pane del volto.
Giovanni Colombo, consigliere comunale a Milano, già presidente della Rosa Bianca, animatore delle riviste “Il Margine” e “Appunti di cultura e di politica”
Oggi il Cardinal Martini ha terminato la sua corsa terrena. Scompare dai nostri occhi uno dei personaggi principali della vita della chiesa nell’ ultimo trentennio, un (quasi) Papa, molto letto, molto ascoltato dai media (anche se non è mai stato, a differenza di Wojtyla, l’uomo delle folle e del gesto). Se ne va il Gigante, il principale riferimento religioso, morale, intellettuale della mia giovinezza. L’ho seguito fin dal suo arrivo in diocesi, ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e di confidarmi con Lui come fosse mio padre. A lungo mi sono vantato di essere un “martiniano”, poi ho smesso, visto che lui stesso mi ripeteva: di Maestro ce n’è uno solo!
Martini si è speso fino all’osso per farci conoscere la Parola. “In principio la Parola” è il titolo della sua più intensa lettera pastorale e ben sintetizza il cuore del suo magistero. “Leggi la Parola… sottolinea la Parola”, quante volte l’ha ripetuto. La Parola che parla di Gesù è Gesù stesso, e come lui incessantemente in moto, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Se ascoltata e “ruminata”, susciterà in noi le parole giuste per quest’ epoca di alto sbandamento, le parole gocciolanti in grado di “rimettere al mondo il mondo”. Â
Con le sue parole intorno alla Parola, Martini mi ha cambiato Dio. Non più il Dio lombardo, cupo, controriformista, il Dio col vocione che produce l’inflazione del senso di colpa. Ormai Dio è vento sottile e sua volontà la nostra liberazione: la partenza da tutti i varchi, l’apertura di tutte le gabbie. Ah, le gabbie…
In Martini ho visto da vicino la fatica di star dentro le tante costrizioni in cui s’infossa la vita della chiesa cattolica d’Occidente, sia dal punto di vista morale sia dal punto di vista pastorale. Alla fatica si è presto aggiunta (metà degli anni ottanta) anche la viva preoccupazione di non apparire l’anti-Papa, l’anti-Wojtyla, e di riuscire a sottrarsi al continuo controllo vaticano. A mio avviso, era in battaglia continua, fuori e dentro di sé, con il marmo di sacra romana chiesa. Da un certo punto in poi il campo di questa battaglia è diventato il suo stesso corpo, come se il tremolio parkinsoniano non foss’altro che la costante lotta tra la spinta ad essere se stesso e la controspinta a non esserlo, per non disobbedire all’ autorità costituita. Alla fine il controllo estremo ha avuto il sopravvento e il Gigante si è trovato rinchiuso dentro una corazza. Ha dovuto rinunciare alla sua originalità , alla sua “martinità “.
E’ stato bello, sì, molto bello conoscere e frequentare padre Carlo. E il modo migliore di ricordarlo sarà quello di seguire la strada che lui stesso aveva intravisto dal suo personale monte Nebo e di cui parlò tanti anni fa durante la messia esequiale di uno dei suoi più cari amici, don Luigi Serenthà : “procedere per una più grande scioltezza nella Chiesa, per una più grande libertà di spirito, per una più grande creatività , soltanto in questo modo si manifesta la vitalità della Parola, del mistero pasquale della morte e della risurrezione di Gesù”. Aveva capito assai bene quant’ è indispensabile alleggerire e, in tal senso, è riuscito a fare più di quanto lasciasse prevedere la sua estrazione alto borghese, la sua impostazione perfetta e il suo ruolo di “principe della Chiesa”. Oggi, finalmente sciolto da pesi obblighi dolori, è giunto “nella pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità ma affermazione piena dell’ individualità di ciascuno in una perfetta armonia in Dio” (citazione dell’ Inno all’ universo di un altro gesuita, Teilhard de Chardin, che Martini stesso usava per spiegare come sarà in Cielo). Adesso tocca a noi, che restiamo per qualche giorno ancora su questa terra di terra e sassi, non farci frenare dalle pesantezze del vivere e volteggiare in libertà di spirito sopra ogni pietra tombale.
Saluti chiari come gli occhi di padre Carlo
La Comunità Ebraica di Milano scrive
La Comunità Ebraica di Milano esprime cordoglio ed enorme dispiacere per la scomparsa di Sua Eminenza il Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo Emerito di Milano.
Walker Meghnagi e Daniele Nahum, rispettivamente Presidente e responsabile Rapporti Istituzionali della Comunità Ebraica di Milano, hanno dichiarato: “la morte del Cardinal Martini è per tutti gli ebrei di Milano un momento di grande tristezza e di smarrimento. Per noi era un punto di riferimento importante e un amico su cui contare. Fu protagonista del dialogo interreligioso nella nostra città e uomo di pace in Medio Oriente. Ci appelliamo al Comune di Milano affinché dedichi i Giardini della Guastalla, di fronte alla Sinagoga Maggiore di Milano, a quest’uomo nobile, carissimo a noi e alla Città tuttaâ€.
Proponiamo, in memoria del Cardinale, questo luogo altamente simbolico dato che è racchiuso tra la Sinagoga (espressione del dialogo ebraico-cristiano), l’Università Statale (cattedra dei non credenti) e la Chiesa Valdese (espressione del dialogo interconfessionale).
Di Enzo Bianchi, priore della Comunità Monastica di Bose, amico di Martini, è possibile leggere un articolo e un’intervista QUI, accanto ai saluti della Comunità .
QUI il comunicato stampa di “Noi Siamo Chiesa”, a cura di Vittorio Bellavite.
QUI l’omaggio della rivista Micromega.
QUI la cosiddetta ultima intervista, le cui parole vanno secondo me lette con estremo pudore.
(Il Cardinale a Selva di Val Gardena, nel 2009)
“Ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli”
(Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982)
Ultimi tratti di Agosto. Dopo la carrellata di focose figure mitiche, sembra che Beatrice abbia aperto l’uscio all’autunno, «mia antica stagione». E comunque ci penserà Settembre a ricordarci che l’estate non è per sempre. Penso siano questi i giorni più difficili, almeno per chi vive ormai da anni abbarbicato ad una temporalità circolare che vede il suo rinnovo proprio in questi tempi.
Anche la vita civile sembra però seguire i ritmi della scuola, al di là del monomaniacale egotismo dei docenti, data la sparpagliata popolazione studentesca che rianima i quartieri. Questo è il tempo del diario nuovo e del riassetto di astucci e cartelle: l’odore della plastica nuova di cartoleria è l’odore del precipizio che si avvicina, è l’odore della fine del tempo liberato.
Diversamente dall’anno scorso, quando il tempo estivo si era prolungato nella mente e nel cuore sino ad averne tedio, quest’anno avverto che la sfida è più acuminata. La rincorsa pare troppo scarsa e il cavallo troppo alto: nonostante la pedana elastica, come alle medie, vorrei rinunciare al salto. Il prof. Angeli mi guardava compatendo più se stesso che il sottoscritto, pensando alla forza che doveva metterci per far fare il volteggio all’adolescente rotondo che aveva di lato. Ora ci incrociamo sul ponte dei Quattro Martiri, la stessa agilità ciclistica e la medesima borsa di cuoio. Che ci metteranno in borsa i prof. di educazione fisica?
La mia, di borsa, giace triste e piegata su se medesima a lato della scrivania, mi osserva panciuta e svuotata, le mentine gorgogliano nella pancia. Domani riprende a vivere e ne gode, sotto sotto.
Che cosa debbo sfidare? L’estate non mi è mai appartenuta, luogo troppo luminoso per non far risaltare i miei luoghi oscuri. Ma mi è ancor più lontana, se penso alla sforzata allegria di cui è popolato FB e i link laterali dei maggiori quotidiani. E’ un unico linguaggio, fatto di vittoria e di olio per il sole, muscoli, propaggini fisiologiche erettili al massimo dell’espansione, costumi alla moda mai troppo piccoli. Tutta questa fisicità mi incanta e incatena, ma non riesco a condividerne nemmeno la giovanile vitalità . Come Comisso, nel suo racconto della guerra: l’esaltazione della gioventù libera in un tempo (e una terra) di nessuno, toraci nudi al sole, il giorno prima della terra di trincea nella bocca, negli occhi. Era vita, ma pur sempre guerra, che fa male anche se è bella.
E ora devo tornare a far da arbitro al vostro gioco del silenzio, come tra i cipressi nell’asilo del Santo Spirito: piccoli prometei incatenati ai banchi (o alle cattedre – che facciamo finta di nulla, ma è uguale). La sfida è far volare lo spirito, quel punto luminoso di energia vitale, senza il quale anche il sangue a gonfiar le vene non scorrerebbe, se non pigro e indolente. La sfida è riprendere quota, su, dalle sabbie appiccicose e dalle ghiande dei porci, ai masi solitari sotto le Pale di San Martino, meta comoda finché non si tratta di spegnere il motore e vedere se camminare è ancora possibile (ma non come escursionisti: ché, anche là il meglio è la vittoria del fisico sulla pendenza. Io invece parlo di sconfitte). La sfida è un’aria più sottile, senza onde di telefonini: il segnale è assente, il messaggio sarà inviato più tardi. Eh no, perché il messaggio siete voi, siamo noi.
Questi due autori di fumetto hanno riportato in vita, per un po’ e non si sa fino a quando, una delle più geniali strisce della storia (in realtà il link non è di grandi utilità , perché nel loro sito non si trovano molte notizie, anyway c’è google).
QUI qualche notizia su questa pubblicazione. QUI tutte e quattro le strisce finora realizzate, tutte insieme. QUI notizie sull’autore di C&H, Bill Watterson.
Che dire? Che Calvin sposi Suzie non è forse una sorpresa, ma somiglia un po’ al finale di Harry Potter. Che abbiano una bimba e la chiamino Bacon, come il grande empirista inglese, è assai divertente. E poi, vedere Calvin papà è molto curioso, perché la sfida è quella di non renderlo troppo adulto, nel senso di noioso, ansioso e bacchettone, ma nello stesso tempo tener conto che non può più essere cinque-seienne.
Stiamo a vedere cosa succede e se BW esce dal suo silenzio elegante.