Nell’astuccio

Ultimi tratti di Agosto. Dopo la carrellata di focose figure mitiche, sembra che Beatrice abbia aperto l’uscio all’autunno, «mia antica stagione». E comunque ci penserà Settembre a ricordarci che l’estate non è per sempre. Penso siano questi i giorni più difficili, almeno per chi vive ormai da anni abbarbicato ad una temporalità circolare che vede il suo rinnovo proprio in questi tempi.
Anche la vita civile sembra però seguire i ritmi della scuola, al di là del monomaniacale egotismo dei docenti, data la sparpagliata popolazione studentesca che rianima i quartieri. Questo è il tempo del diario nuovo e del riassetto di astucci e cartelle: l’odore della plastica nuova di cartoleria è l’odore del precipizio che si avvicina, è l’odore della fine del tempo liberato.
Diversamente dall’anno scorso, quando il tempo estivo si era prolungato nella mente e nel cuore sino ad averne tedio, quest’anno avverto che la sfida è più acuminata. La rincorsa pare troppo scarsa e il cavallo troppo alto: nonostante la pedana elastica, come alle medie, vorrei rinunciare al salto. Il prof. Angeli mi guardava compatendo più se stesso che il sottoscritto, pensando alla forza che doveva metterci per far fare il volteggio all’adolescente rotondo che aveva di lato. Ora ci incrociamo sul ponte dei Quattro Martiri, la stessa agilità ciclistica e la medesima borsa di cuoio. Che ci metteranno in borsa i prof. di educazione fisica?
La mia, di borsa, giace triste e piegata su se medesima a lato della scrivania, mi osserva panciuta e svuotata, le mentine gorgogliano nella pancia. Domani riprende a vivere e ne gode, sotto sotto.
Che cosa debbo sfidare? L’estate non mi è mai appartenuta, luogo troppo luminoso per non far risaltare i miei luoghi oscuri. Ma mi è ancor più lontana, se penso alla sforzata allegria di cui è popolato FB e i link laterali dei maggiori quotidiani. E’ un unico linguaggio, fatto di vittoria e di olio per il sole, muscoli, propaggini fisiologiche erettili al massimo dell’espansione, costumi alla moda mai troppo piccoli. Tutta questa fisicità mi incanta e incatena, ma non riesco a condividerne nemmeno la giovanile vitalità. Come Comisso, nel suo racconto della guerra: l’esaltazione della gioventù libera in un tempo (e una terra) di nessuno, toraci nudi al sole, il giorno prima della terra di trincea nella bocca, negli occhi. Era vita, ma pur sempre guerra, che fa male anche se è bella.
E ora devo tornare a far da arbitro al vostro gioco del silenzio, come tra i cipressi nell’asilo del Santo Spirito: piccoli prometei incatenati ai banchi (o alle cattedre – che facciamo finta di nulla, ma è uguale). La sfida è far volare lo spirito, quel punto luminoso di energia vitale, senza il quale anche il sangue a gonfiar le vene non scorrerebbe, se non pigro e indolente. La sfida è riprendere quota, su, dalle sabbie appiccicose e dalle ghiande dei porci, ai masi solitari sotto le Pale di San Martino, meta comoda finché non si tratta di spegnere il motore e vedere se camminare è ancora possibile (ma non come escursionisti: ché, anche là il meglio è la vittoria del fisico sulla pendenza. Io invece parlo di sconfitte). La sfida è un’aria più sottile, senza onde di telefonini: il segnale è assente, il messaggio sarà inviato più tardi. Eh no, perché il messaggio siete voi, siamo noi.

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