Questi brani sono tratti dall’omelia di Enzo Bianchi, nella Liturgia della Notte di Natale, a Bose.
Ma c’è soprattutto un’altra ragione per il nostro vegliare nella notte: nella notte noi cantiamo il nostro desiderio della luce. Vivere la liturgia nella notte è fare una battaglia contro la tenebra. Noi affermiamo che crediamo al giorno, che crediamo al nuovo Sole che spunta dall’alto, alla Luce radiosa senza tramonto, alla Stella del mattino. Non a caso tutti i nomi dati a Cristo dai profeti e dalla chiesa nascente evocano la luce. Noi uomini in realtà siamo tutti cercatori di luce, siamo tutti dei ciechi che abbiamo bisogno della luce, siamo creature sempre avvolte nelle tenebre. E anzi, più camminiamo verso la luce, più ci rendiamo conto delle tenebre che ci avvolgono (…).
Quel bambino non poteva parlare, non poteva imporre nulla, non poteva imporsi. Questo è il mistero vero del Natale che sta davanti a noi. E il cristianesimo è proprio la religione che, a differenza di tutte le altre, ci dice che un uomo, nient’altro che un uomo, deve essere da noi colto come un figlio di Dio, come una parola di Dio fatta carne (cf. Gv 1,14). E un uomo è sempre qualcuno che attende la nostra presenza, il nostro sguardo come dono. Noi questa sera dovremmo sentire quella voce che ci ha accompagnato lungo tutto l’Avvento e che ci accompagnerà anche nel tempo di Natale: «Io sto alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e mi apre, io starò con lui e lui con me» (cf. Ap 3,20). Chi lo dice? Chi è colui che dice di stare alla porta? È il bambino di Betlemme? È il Gesù che passava sulle strade di Galilea? È il Signore veniente nella gloria? Sì, ma perché noi riconosciamo il bambino di Betlemme, il Gesù che passa sulle strade di Galilea, il Veniente nella gloria in quanto vivo e risorto, dobbiamo ancora e sempre guardare semplicemente un volto, un uomo che sta davanti a noi. Il Natale ci chiede questo”.