Spunti di orientamento politico

Un tentativo di mettere insieme i pezzi

Destra e Sinistra. Cosa significano questi due sostantivi?

Due parole che fino a all’inizio dell’adolescenza stanno a indicare solo quale scarpa mettersi. Poi deflagrano e si vestono del significato che nell’immaginario italiano e non solo sembra ancora il principale: parti politiche, scelte ideologiche. Con un rilancio dopo il 24 settembre scorso (22)

Fabio Fazio riassunse la faccenda così, alcuni anni fa. Dopo aver elencato i luoghi comuni sui politici e aver lasciato la parola ad alcuni elenchi scomodi, passa il microfono a Pierluigi Bersani e a Gianfranco Fini, allora segretario del PD il primo, presidente della Camera ed esponente di centrodestra il secondo (i video non si trovano più in rete):

qui si trova riassunto quanto hanno detto. QUI il video con G. Fini. QUI Bersani.

qui, nella seconda parte dell’articolo, una critica da sinistra

Sono parole ancora valide? L’operazione di Fazio, che per certi aspetti sembra lontanissima, era forse più rivolta a sostenere quelle da lui ritenute le parti sane della politiche, di qualsiasi colore, piuttosto che a distinguere in queste parti la destra dalla sinistra.

Per farlo, leggiamo quanto scrive il filosofo del diritto Norberto Bobbio:

«Se mi si concede che il criterio rilevante per distinguere la destra e la sinistra è il diverso atteggiamento rispetto all’ideale dell’eguaglianza, e il criterio rilevante per distinguere l’ala moderata e quella estremista, tanto nella destra quanto nella sinistra, è il diverso atteggiamento rispetto alla libertà , si può ripartire schematicamente lo spettro in cui si collocano dottrine e movimenti politici, in queste quattro parti:

a) all’estrema sinistra stanno i movimenti insieme egualitari e autoritari, di cui l’esempio storico più importante, tanto da essere diventato un’astratta categoria applicabile, ed effettivamente applicata, a periodi e situazioni storiche diverse è il giacobinismo;

b) al centro-sinistra, dottrine e movimenti insieme egualitari e libertari, per i quali potremmo oggi usare l’espressione «socialismo liberale», per comprendervi tutti i partiti socialdemocratici, pur nelle loro diverse prassi politiche;

c) al centro-destra, dottrine e movimenti insieme libertari e inegualitari, entro cui rientrano i partiti conservatori, che si distinguono dalle destre reazionarie per la loro fedeltà  al metodo democratico, ma, rispetto all’ideale dell’eguaglianza, si attestano e si arrestano sull’eguaglianza di fronte alla legge, che implica unicamente il dovere da parte del giudice di applicare imparzialmente la legge;

d) all’estrema destra, dottrine e movimenti antiliberali e antiegualitari, di cui credo sia superfluo indicare esempi storici ben noti come il fascismo e il nazismo».

[Norberto BOBBIO, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli editore, Roma 1994]

In particolare, è sul tema dell’UGUAGLIANZA che emerge la differenza D./S. Scrive Gianfranco Pasquino, storico, commentando Bobbio:

la DESTRA accetta le disuguaglianze come naturali, quindi come sostanzialmente inevitabili. Si potrebbe aggiungere che non pochi filoni di pensiero della d. ritengono che le disuguaglianze sono anche positive poiché riflettono il contributo delle capacità  e dell’impegno delle persone e che qualsiasi tentativo di ridurre, comprimere, eliminare le disuguaglianze rischia di ridurre, comprimere, eliminare la libertà . I cittadini debbono essere lasciati liberi di decidere quanto diseguali desiderano essere. La d. non sembra interessarsi all’origine delle disuguaglianze e non si preoccupa, quindi, di offrire ai cittadini quelle eguaglianze di opportunità  iniziali che consentano a tutti di competere ad armi pari. Inoltre, per la d. il luogo classico della competizione è il mercato, talvolta idealizzato come lo strumento migliore, più equo e imparziale per l’allocazione di beni, ricompense, premi. Alla fine, la d. ritiene che gli uomini e le donne sono, in quanto individui singoli, tutti e ciascuno completamente responsabili del loro destino, di successo e insuccesso, e che la meritocrazia costituisce un esito perseguibile e in sostanza apprezzabile.

 

Si noti, tuttavia, che la possibilità  di lasciare liberi i cittadini NON è contemplata nelle espressioni storiche di estrema destra, come il fascismo-regime o il nazismo, le quali sottopongono l’intera società  al controllo dello Stato e anche dal punto di vista economico – con il corporativismo – pongono lo Stato stesso alla guida dell’economia e quindi non accettano almeno formalmente la libertà  di mercato. La descrizione di Pasquino quindi va intesa per la destra conservatrice moderata, cioè per ciò che Bobbio chiamava il centro-destra.

quarto-statoIn questo senso, al contrario, la S. si pone il problema dell’origine delle diseguaglianze sociali – la cosiddetta QUESTIONE SOCIALE.
A s. quindi si pongono tutti quei movimenti e partiti che, dalla rivoluzione industriale inglese in poi, studiano la situazione delle classi più povere o sfruttate (sia nelle fabbriche che nei campi) per migliorarla. La questione sociale è un tema attuale oggi (pensiamo al precariato, alla disoccupazione giovanile, alla difficoltà  di vedersi garantita una pensione, alle categorie prive di diritti sindacali di base o avanzati, anche in Occidente), ma era attuale già  nella seconda metà dell’800. Con il tempo, è bene dirlo, alcuni movimenti di destra proposero proprie soluzioni alla questione sociale. Si parla così di “destra sociale”, nella quale possiamo in certo modo far rientrare anche il primissimo movimento fondato da Mussolini (Mov. dei Fasci di Combattimento, Milano 1919QUI il programma). Anche molti movimenti di ispirazione cristiana, molti dei quali cattolici, si posero il problema della questione sociale.

Esempio di cosa significhi Questione sociale fu il cosiddetto MUSEO SOCIALE (QUI in inglese, QUI in francese): insieme all’Esposizione universale che si teneva a Parigi, una FIERA MONDIALE nella quale i produttori esponevano le ultime invenzioni della tecnica, dai fucili a ripetizione ai telai meccanici o addirittura ai water, venne organizzata una mostra parallela, una sorta di «Louvre del lavoro» (dice il filosofo Richard Sennett in questo libro).

Su una parete si poteva, per esempio, osservare la mappa di Londra tracciata da Charles Booth, nella quale egli indicava le zone povere e ricche della citta:

Poverty_map_old_nichol_1889

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I tedeschi esponevano documenti sulla storica coalizione tra le organizzazioni operaie e partiti politici realizzata dall’Allgemeiner Deutscher Arbeitsverein, l’Associazione generale degli operai tedeschi, fondata da Ferdinand Lassalle. Gli americani proponevano uno scoraggiante studio statistico sulla sorte degli afroamericani in Georgia o un’esposizione di manufatti provenienti dal Tuskegee Insitute e dall’Hampton Institute, due organizzazioni educative  in cui gli ex-schiavi potevano imparare un mestiere.

Scrive Sennett: «gli espositori del Musée Social e i suoi accalorati visitatori avevano un nemico comune, il capitalismo selvaggio dell’epoca, con le sue diseguaglianze e oppressioni, ed erano uniti dalla convinzione che esso non potesse produrre una vita decente per le masse».

Quando il museo della questione sociale apre i battenti, in Europa è già  diffusa una filosofia che non solo si pone l’obiettivo di difendere le classi più deboli, ma che ha la pretesa di spiegare scientificamente perché e come esse sono sfruttate, e come da questo sfruttamento la classe borghese-capitalista sarebbe stata distrutta. Si tratta ovviamente del MARXISMO, o meglio del MATERIALISMO STORICO, cioè del pensiero elaborato da Karl Marx e FRIEDRICH ENGELS.

Quando nel 1917 la Russia viene sconvolta dalla RIVOLUZIONE BOLSCEVICA, l’intero occidente pensa per un momento che le previsioni di Marx si siano avverate (nota bene: Karl Marx muore nel 1883; Engels nel 1895). Questo evento fu di tale portata che a partire da esso l’intera storia della sinistra deve essere rivista e riletta. Per questo, lo storico Salvadori mette al centro dello schema sotto rappresentato proprio i fatti dell’Ottobre 1917.

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Come si può notare da questo disegno, l’evento centrale – Russia 1917 – accelera una divisione già  presente nei principali partiti di sinistra, cioè quelli SOCIALISTI.
Lo storico Salvadori scrive (QUI l’articolo intero):

La sinistra era mossa nel suo insieme dall’ideale di una società  egualitaria; sennonché anche i modi di intendere l’uguaglianza erano tutt’altro che scontati. Questi i grandi nodi da sciogliere: bisognava attendere il crollo del capitalismo oppure cercare di trasformarlo? Seguire la via della rivoluzione o quella delle riforme? Passare attraverso la dittatura dei rivoluzionari e abbattere le istituzioni parlamentari oppure mantenere l’eredità  del liberalismo? Dare all’economia pianificata strutture centralizzate dominate dallo Stato oppure puntare su un sistema decentrato, cooperativistico, autogestito?

La divisione di cui parliamo è quella tra MASSIMALISTI e RIFORMISTI: i primi intendono realizzare alla lettera il programma di Marx, i secondi vogliono trasformare la società  anche accettando metodi più graduali, le “riforme” appunto, pur conservando lo scopo della rivoluzione. Prosegue Salvadori:

Bernstein, il padre di tutti i riformisti socialisti, lanciò la sua sfida. Attaccato dai marxisti come un revisionista che svendeva il patrimonio di Marx, egli teorizzò che occorreva unire le forze dei socialisti e dei liberali progressisti per strappare i miglioramenti possibili, che la democrazia liberale andava preservata, che il Parlamento era la palestra positiva della lotta politica e sociale.

Ma questo poteva valere per i paesi economicamente avanzati e NON per la Russia, dove Lenin, nei SOVIET, vide la forza per por fine alla guerra voluta dai capitalisti e per giungere alla realizzazione del primo paese socialista.

Il leninismo dilaniò come mai prima il movimento operaio internazionale. I socialdemocratici guardarono con avversione alla dittatura sovietica considerata una forma di dispotismo intollerabile; i comunisti e i loro sostenitori considerarono i socialdemocratici alla stregua dei più pericolosi nemici.

In questo clima, dopo il 1918, nascono i Partiti Comunisti dei vari paesi europei (ma anche in USA). Tra di essi, particolarmente importante fu quello italiano.

Dunque, che cosa è la destra, che cosa la sinistra?

Se l’elemento fondamentale di distinzione, come abbiamo visto, è ciò che destra e sinistra intendono per uguaglianza, è anche vero che, semplificando ancora, la destra si identifica con un pensiero conservatore (per esempio la difesa di valori come la religione, la famiglia, la patria, la libertà dell’individuo, la tradizione), la sinistra con uno progressista (inteso come far progredire la società per garantire condizioni migliori di vita per tutti).

A destra così possiamo collocare alcuni gruppi LIBERALI, come la destra storica italiana, che sostenne valori nazionali MA NON PER FORZA NAZIONALISTICI. Ma nello stesso tempo non possiamo dire che in genere i LIBERALI stiano a destra, se pensiamo per esempio ai LIBERALI INGLESI. Scrive ancora Pasquino:

Infatti, non solo in Inghilterra, ma un po’ dovunque nei sistemi politici democratici, i liberali non hanno occupato lo spazio di destra. In un certo senso, in quanto prevalentemente interessati alle regole e alle tecniche di limitazione del potere, i liberali appaiono sganciati dalle fratture e dai conflitti che separano con sufficiente nettezza destra e sinistra.

Del resto ci sono state formazioni di sinistra che hanno difeso e difendono il valore dello Stato come unico o principale garante di giustizia e libertà  (o addirittura della patria, se pensiamo al dibattito sulla prima guerra mondiale nei vari paesi europei). Sono per questo da considerarsi conservatori? Ed è conservatore un pensiero tipico delle destre fasciste secondo cui la difesa dell’identità  di una nazione diventa xenofobia e razzismo? Alcune espressioni della Lega (per esempio vedi QUI, in un articolo datato ma che è chiaramente attuale), per esempio, sono collocabile a destra, ma non nel senso della destra moderata e conservatrice. E ancora: un esponente di sinistra che difende il mercato è davvero di sinistra? Secondo alcuni qui risiede il fallimento del riformismo, perché lanciarsi nel progresso non vuol dire di per sé difendere le classi popolari (QUI una delle voci in questo senso). Ma anche la domanda che molti si fanno, o forse si facevano: ma Renzi è di destra o di sinistra? E i 5Stelle?

E tu?

* * *

ARGOMENTI CORRELATI:

SINISTRA
Perché “i comunisti mangiano i bambini”? QUI.

– Uno spunto ulteriore, attuale ed esigente, viene da Cofrancesco, che QUI spiega come all’interno della sinistra viva una divisione:
la frattura tra quanti definiscono il “bene comune” come la difesa intransigente dei diritti e delle libertà  degli individui – dalla libertà  di culto alla libertà  d’impresa – e quanti, invece, ritengono che l’uomo si risolva nel cittadino, che il patto sociale miri al superamento degli egoismi individuali e che le libertà  vadano garantite solo se non producono disuguaglianze.

– Erri De Luca elenca i principi della Sinistra.

– qualcosa di sinistra in Europa

DESTRA
– un reportage da L’Espresso sui neofascismi di oggi.

– una rassegna storica sulla mancata evoluzione della Destra in Italia

NE’ DESTRA NE’ SINISTRA? MAH!
QUI WuMIng 1

(parzialmente rieditato novembre 2022).

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5 risposte a “Spunti di orientamento politico”

  1. E noi, giovani italiani che si affacciano alla politica con tanto interesse quanto sospetto, facciamo veramente fatica a distinguere destra e sinistra. Sono distinzioni ideologiche ancora effettive o sono ormai semplici etichette, simbolo di una contrapposizione vuota di significato? Gli eventi storici, a leggere i testi scolastici, spesso si accompagnano ad un vivo dibattito ideologico: due o più posizioni difendono proprie idee, valori e soluzioni, attaccando o razionalmente accomodandosi alle teorie altrui: la Rivoluzione Francese, le discussioni in merito alla prima guerra mondiale in Italia o le nascenti democrazie europee (proprio la nostra è la Costituzione “compromesso”) ne sono chiari esempi. Ma oggi? Accade ancora così? Purtroppo sembrano essere cambiate alcune cose. Si assiste sempre meno alla battaglia per l’affermazione dei principi declamati da Fini e Bersani, sostituita da una strumentalizzazione delle idee di partito, utili solo come mezzo di propaganda ad effetto e calamita per i voti elettorali, che sono ormai molto più importanti del benessere di tutti. Se vogliamo, quella odierna è una forma corrotta del realismo politico ottocentesco, paragonabile alle brame del noto Richelieu. L’odore è quello del vecchio: la vecchiaia di una classificazione ormai inapplicabile e di una classe politica che proclama delle convinzioni di facciata e opera un contraddittorio sistematico ed ostruzionista, quando questo dovrebbe essere piuttosto un insieme di critiche costruttive, che sono il fondamento della democrazia. Accettata con rassegnazione la situazione attuale, riteniamo necessaria una svolta: il duemila non ha più bisogno della distinzione tra destra e sinistra, ma di una nuova classe politica che porti avanti dei valori chiari, che sia trasparente, che eviti i giochi di potere e gli abusi d’ufficio che si registrano oggi e che si ricordi che la massa dei cittadini è la priorità. La richiesta è di ottenere uomini di buon senso, ormai. Vogliamo la ristrutturazione della democrazia. Renzi pare non curarsi della sua collocazione nelle due scatole classiche, sembra quasi che la segreteria del suo partito gli sia d’impiccio, ma aleggia ancora su di lui lo spettro dei grandi poteri che decidono da dietro e questo, se verificato, sarebbe ancora parte della vecchia politica. Si sta a vedere, nell’attesa che qualcosa si muova. Destra e sinistra sono concetti ben espressi ed apprezzabili nella loro sostanza, ma appartenenti al passato. Ora si chiede una sola uguaglianza, di intenzioni positive, e le nostre aspettative sono alte, dopo anni di sfacciato sfruttamento (capitalistico?!) da parte della attuale classe politica.

    1. ciao Team.
      E’ però possibile che una saggia presa di distanza dal vuoto discorrere tipico del passato, nasconda invece l’esigenza di decidere tutto e subito. Di far vedere che si lavora. Nulla di sbagliato, in fondo, purché i risultati si vedano. Ma se fosse che risultati davvero tali non possano essere visti a breve termine? E che quindi risultati visibili a breve termine non siano invece fumo negli occhi?
      Non so se ho nostalgia di un tempo ideologico. Ma di aver tempo per discutere, bene, informati, le cose a fondo, si.
      Grazie
      gvr

  2. Buonasera,
    gli spunti di orientamento politico sono molto interessanti, anche se a mio parere non riescono a fare chiarezza sulla situazione politica attuale. La continua necessità di creare lo scontro politico e di rappresentare il proprio progetto attraverso una propaganda populista, ha trasformato il dibattito costruttivo in una opposizione sterile e stagnante. Pur di mantenere la propria indipendenza politica e una posizione di contrapposizione rispetto alle altre forze politiche, qualsiasi partito è ben lontano dagli ideali originari, che invece sono presenti nelle scelte quotidiane dei milioni di elettori. Nonostante il problema sia unico e comune, sicuramente ci sono punti di vista diversi e soluzioni differenti. E’ necessario comprendere che l’apporto di ciascuno è utile e necessario per la crescita e la buona convivenza. Desiderando semplicemente un risultato elettorale, la politica italiana ha rifiutato la concretezza del dialogo e delle proposte serie, limitandosi a essere un teatrino di burattini.

    1. Il “precipitato storico” delle ideologie è effettivamente il dibattito fine a se stesso. Si moltiplica la discussione e la discussione sulla discussione, come in molti spazi-commenti dei blog. Alla fine, quasi, ci si è dimenticati il motivo del contendere! Accade il medesimo nei cd “salotti televisivi”. Non penso tuttavia che i partiti attuali siano un tradimento degli «ideali originari», ma una trasformazione – talvolta camaleontica – dovuta al mutamento delle condizioni economiche e sociali. Mi sembra però interessante che, nonostante questo cambiamento, i concetti di Dx e Sx continuino a rimanere nel linguaggio. Su questo si articola la mia riflessione. Grazie del commento, John!

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