Immagini di guerra – 3a parte

Segue da QUI.

7. Lo spirito di Vittorio Veneto

Il generale Leone, racconta Lussu, decantava le lodi delle corazze Farina (vedi Parte 2) ricordando che anche i romani vincevano grazie alla corazza (Lussu, Un anno sull’Altipiano, p. 102). La Romanità , il trionfo dell’età  dell’oro dei popoli italici riuniti sotto i simboli imperiali, è uno degli elementi caratterizzanti la costruzione retorica del Fascismo.
Quella che De Felice chiama, coerentemente con le parole di Mussolini, la “rivoluzione fascista”, a differenza del nazismo che guardava al passato mitico dell’ethos ariano, è uno slancio verso l’uomo rinnovato, verso il futuro: un italiano inedito, che contiene tuttavia il meglio della storia patria, a partire dalla Pax Romana  (su questo Hobsbawm la pensa diversamente: anche il fascismo fu secondo lui una contro-rivoluzione).

Esempio fulgido della virtù italica è la vittoria ottenuta nella Prima Guerra. Quando, nell’ottobre del 1935, il Duce lancia l’occupazione dell’Etiopia, conclude il vibrante proclama con queste parole:

Benito-Mussolini-770x462Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della rivoluzione! In piedi! Fa’ che il grido della tua decisione riempia il cielo e sia di conforto ai nemici in ogni parte del mondo: grido di giustizia, grido di vittoria!

(tratto da G. Rochat, Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1974, pp. 163-164)

Vendicare la sconfitta del 1896 ad Adua, riscattare la “vittoria mutilata” del mancato riconoscimento delle pretese italiane a Versailles: l’Italia ha diritto al suo posto nella corsa alle colonie africane. L’Italia ha diritto – prima d’ogni altra nazione – a veder risorto il suo Impero!

Ecco che la Grande Guerra diventa, sin dalla Marcia su Roma, il simbolo della virilità  italica, dell’eroismo dell’allora gioventù che si riverbera nella gioventù del Littorio: i padri consegnano ai figli il senso della grandezza nazionale, esemplificato dalle – ricostruite e contraffatte – gesta del 15/18. Una realtà  ideale, ma secondo le teorie razziste allora in voga, anche biologica.
Mussolini del resto, dopo una prima fase neutralista, era stato strenuo difensore dell’interventismo, motivo tra gli altri dell’allontanamento da direttore de L’Avanti! di quindi dell’espulsione dal partito socialista.   Il suo primissimo movimento, il Fascio d’azione rivoluzionaria, raccoglie infatti nazionalisti e interventisti. Il futuro Dux partecipa alla guerra come Bersagliere, raccogliendo le sue memorie diaristiche nel giornale da lui fondato Il popolo d’Italia, che da “Quotidiano socialista” prenderà  il sottotitolo di “Quotidiano dei combattenti e dei produttori”: la primissima versione del Fascismo, i Fasci Italiani di Combattimento sarebbero nati proprio coagulando parte dei vari “delusi” e reduci in cerca di riscatto con la guerra.

popoloItaliaGuerra

Memoria della Prima Guerra e Fascismo sono quindi strettamente legati. Il richiamo retorico alla battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre/3 novembre 1918), l’ultimo grande scontro con l’Austria-Ungheria, ritorna a cadenza regolare nei richiami alla difesa della sacralità della patria, argomentazione impiegata sino all’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale.

manifesto18Uno degli strumenti più efficaci, e realmente anticipatori dei linguaggi contemporanei, fu il cinema. L’Unione Cinematografica Educatival’Istituto LUCE – nato nel 1924, diviene da subito colonna portante della propaganda del Regime, ma anche luogo di pionieristica sperimentazione del linguaggio dei film e dei cinegiornali. Venne mantenuto e rilanciato dopo la caduta del Fascismo.
Tra le opere prodotte dal Luce v’è il film Gloria, prodotto nel 1934: il racconto di un evento “nazionale” in senso pieno (con eccezionali documenti originali) si mescola alle esigenze della mitologia del Regime.

Di Gloria non si trovano tracce in rete. Di seguito un documentario più recente (2006) sul Milite Ignoto (in due parti); QUI invece una lunga ripresa muta degli eventi bellici, tremenda nel suo silenzio.

Il riferimento al Milite Ignoto e all’Altare della Patria ci deve ricordare che la celebrazione dell’eroismo bellico era già propria dello stato liberale, nella logica della nazionalizzazione della massa.

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