Immagini di guerra – 2a parte

Segue da QUI.

5. Una guerra moderna

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Emilio Gentile, storico de La Sapienza di Roma, riflette sulla modernità  del primo conflitto armato di dimensioni effettivamente mondiale.
All’interno di un contributo apparso sul periodico della casa editrice Bruno Mondadori dedicato all’insegnamento della storia, e tratto da questo suo testo, afferma:

il carattere moderno della Grande guerra è attribuito alla sua novità  come evento senza precedenti rispetto alle guerre del passato (…) guerra di massa, guerra totale, industriale, tecnologica: come tale essa è stata giustamente definita «un corso violento e accelerato di modernità  imposto a milioni di uomini in situazioni estreme di sradicamento e di minaccia per la vita, di sofferenza e di dolore» (A. Gibelli, L’officina della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 1998).

Tutti gli aspetti della modernizzazione, tecnici, sociali, politici e industriali, si sommano e si accavallano nell’evento bellico. In particolare, afferma Gentile citando Guarracino, si trattò di una «guerra ideologica combattuta con straordinaria ferocia».
A questo proposito, interessante è la parzialmente diversa interpretazione che dà  Eric Hobsbawm, nel suo celeberrimo “Il secolo breve”: lo storico britannico legge nella Prima guerra la presenza di un’unica determinante ideologia, quella della “vittoria senza condizioni”, dell’annullamento totale del nemico. Del resto la volontà  di “annullare” la Germania al termine delle Conferenze di Versalilles può essere considerata proprio una delle cause strutturali della guerra del 39/45. Lo scontro ideologico vero e proprio (democrazie VS totalitarismi) si attua appunto nella Seconda Guerra Mondiale (anche se in questo caso la posizione della Russia stalinista risulta per lo meno ambigua sino al 1941, come del resto l’uscita della Russia zarista nel corso del ’17 e definitivamente nel 18 aveva semplificato “ideologicamente” anche la Primagibelli Guerra).

 

Gentile per completezza riporta anche l’opinione più cauta di Strachan a proposito della modernità  della Guerra del 14-18: nonostante l’impiego della tecnologia – gas, aerei, ingegneria delle comunicazioni – il ruolo centrale della trincea produsse l’effetto di un sostanziale “primitivismo” nelle operazioni belliche, attraverso armi tipiche della guerra d’assedio del XVIII secolo, quali mortai, granate, persino bastoni e asce.

Modernità  o piuttosto modernizzazione? La fase industriale-tecnologica rappresenta – prosegue Gentile – l’ultimo tratto della modernità , intesa allora come ampio mutamento del modo dell’uomo di comprendere se stesso e la propria storia, a partire quindi dai primi vagiti umanistico-rinascimentali, attraverso poi Cartesio e la rivoluzione scientifica, sino alla sue conseguenze tecniche. L’accento sulle trasformazioni tecnologiche conduce ad impiegare il termine modernizzazione o modernismo, come condizione di perpetuo divenire, flusso continuo di mutamenti operati dall’uomo sempre sul filo della propria autodistruzione. L’estrema manifestazione della modernità , che diviene in definitiva consapevolezza di massa, è proprio la Grande Guerra.

A proposito di “cose moderne”: nella Prima guerra compare l’aeroplano, come mezzo di ricognizione, come protagonista dei duelli in cielo. Ma già  si annuncia il suo spietato impiego, che trionfa nella Seconda: il bombardamento, delle linee nemiche e delle città . Era la prima volta?

No. Mario Isnenghi (Cinque modi per andare alla guerra, Laterza) scrive: “La prima potenza che usa le bombe lanciate dagli aeroplani è proprio l’Italia, un primato tipicamente futurista. Nella guerra di Libia l’aviazione è un’arma che incanta i futuristi, proprio per la sua straordinaria modernità  e anche per l’ndividualismo audace che prevede nel pilota questo distaccarsi dal suolo e andare in cielo”. Non sarà  il solo primato italiano.

Accanto all’aereo, compare anche il carro armato, certo in forma primitiva rispetto a quanto siamo abituati a pensare (l’immaginario pesca nella Seconda guerra).

Tuttavia la vera dominatrice del campi di battaglia (Desideri, Codovini) è la mitragliatrice, per esempio la britannica Vickers dell’immagine: del peso compreso tra i 15 e i 23 kg, poteva sparare 450/500 colpi al minuto, cioè circa 8 colpi al secondo. Il nastro contiene 250 colpi: ecco perchè vedrete sempre almeno due soldati attorno alla macchina (senza contare la necessità  di raffreddarla).

 

6. Razionalità tecnoscientifica. Comanda la follia?

Una lettura, si potrebbe dire, diversamente “ideologica” della Guerra viene proposta da Emilio Lussu nel suo Un anno sull’altipiano, una delle opere che per prime affrontarono la visione, parimenti e inversamente ideologica, data dal Fascismo (vedi punto 7).
Lussu si pone l’obiettivo di ricordare gli eventi ai quali aveva preso parte in qualità  di capitano del 15° fanteria della Brigata Sassari mettendo in discussione l’assenza di strategia dei comandi e la generale insensatezza dell’esperienza. Si noti che questo memoriale-romanzo, scritto negli anni Trenta, costituisce anche una lenta presa di coscienza da parte dell’autore, acceso interventista e pluridecorato militare, delle proprie convinzioni sulla guerra e della differenza sostanziale tra il resoconto retorico dei fatti e i vissuti drammatici della truppa.

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In uno dei brani più noti, Lussu rievoca nella figura del generale Leone il fanatico Giacinto Ferrero, summa della totale assenza di raziocinio dimostrata da molte delle guide militari:

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Noi avevamo costruito una trincea solida, con sassi e grandi zolle. I soldati la potevano percorrere, in piedi, senza esser visti. Le vedette osservavano e sparavano dalle feritoie, al coperto. Il generale guardò dalle feritoie, ma non fu soddisfatto. Fece raccogliere un mucchio di sassi ai piedi del parapetto, e vi montò sopra, il binoccolo agli occhi. Così dritto, egli restava scoperto dal petto alla testa.
– Signor generale, – dissi io, – gli austriaci hanno degli ottimi tiratori ed è pericoloso scoprirsi così.
Il generale non mi rispose. Dritto, continuava a guarda:e con il binoccolo. Dalle linee nemiche partirono due colpi di fucile. Le pallottole fischiarono attorno al generale. Egli rimase impassibile. Due altri colpi seguirono ai primi, e una palla sfiorò la trincea. Solo allora, composto e lento, egli discese. Io lo guardavo da vicino. Egli dimostrava un’indifferenza arrogante. Solo i suoi occhi giravano vertiginosamente. Sembravano le ruote di un’automobile in corsa.
La vedetta, che era di servizio a qualche passo da lui, continuava a guardare alla feritoia, e non si occupava del generale. Ma dei soldati e un caporale della 12a compagnia che era in linea, attratti dall’eccezionale spettacolo, s’erano fermati in crocchio, nella trincea, a fianco del generale, e guardavano, più diffidenti che ammirati. Essi certamente trovavano in quell’atteggiamento troppo intrepido del comandante di divisione, ragioni sufficienti per considerare, con una certa quale apprensione, la loro stessa sorte. Il generale contemplò i suoi spettatori con soddisfazione.
– Se non hai paura, – disse rivolto al caporale, – fa’ quello che ha fatto il tuo generale.
– Signor sì, – rispose il caporale. E, appoggiato il fucile alla trincea, montò sul mucchio di sassi.
Istintivamente, io presi il caporale per il braccio e l’obbligai a ridiscendere.
– Gli austriaci, ora, sono avvertiti, – dissi io, – e non sbaglieranno certo il tiro.
Il generale, con uno sguardo terribile, mi ricordò la distanza gerarchica che mi separava da lui. Io abbandonai il braccio del caporale e non dissi più una parola.
– Ma non è niente, – disse il caporale, e risalì sul mucchio.
Si era appena affacciato che fu accolto da una salva di fucileria. Gli austriaci, richiamati dalla precedente apparizione, attendevano coi fucili puntati. Il caporale rimase incolume. Impassibile, le braccia appoggiate sul parapetto, il petto scoperto, continuava a guardare di fronte.

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– Bravo! – gridò il generale. – Ora, puoi scendere. Dalla trincea nemica parti un colpo isolato. Il caporale si rovesciò indietro e cadde su di noi. lo mi curvai su di lui. La palla lo aveva colpito alla sommità  del petto, sotto la clavicola, traversandolo da parte a parte. Il sangue gli usciva dalla bocca. Gli occhi socchiusi, il respiro affannoso, mormorava:
– Non è niente, signor tenente.
Anche il generale si curvò. I soldati lo guardavano, con odio.
– E’ un eroe, – commentò il generale. – Un vero eroe. Quando egli si drizzò, i suoi occhi, nuovamente, si incontrarono con i miei. Fu un attimo. In quell’istante, mi ricordai d’aver visto quegli stessi occhi, freddi e roteanti, al manicomio della mia città , durante una visita che ci aveva fatto fare il nostro professore di medicina legale.
– E’ un eroe autentico, – continuò il generale.
Egli cercò il borsellino e ne trasse una lira d’argento.
– Tieni, – disse, – ti berrai un bicchiere di vino, alla prima occasione.
Il ferito, con la testa, fece un gesto di rifiuto e nascose le mani. Il generale rimase con la lira fra le dita, e, dopo un’esitazione, la lasciò cadere sul caporale. Nessuno di noi la raccolse.
Il generale continuò l’ispezione sulla linea, e, arrivato al confine del mio battaglione, mi dispensò· dal seguirlo.
Io rifeci il cammino per rientrare al comando di battaglione. Tutta la linea era in subbuglio. La notizia di quanto era avvenuto aveva già  fatto il giro del settore. Dal canto loro, i portaferiti che avevano portato il caporale al posto di medicazione, avevano raccontato l’episodio a quanti avevano incontrato. Trovai il capitano Canevacci, eccitatissimo .
– Quelli che comandano l’esercito italiano sono austriaci! – esclamò – Austriaci di fronte, austriaci alle spalle, austriaci in mezzo a noi!
[Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, Einaudi 1945, pp. 51-55]

Dal libro di Lussu venne tratto il film “Uomini contro”, del 1970, diretto da Francesco Rosi.
Nella scena incorporata, il generale Leone celebra le virtù delle “celebri corazze Farina” poco prima di mandare i soldati al macello.

CONTINUA

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