Metti a Venezia, l’8 di Novembre

Insieme all’aggiornamento dell’immagine della testata (grazie a Sara, da QUI), segnalo due appuntamenti nella città lagunare, il secondo e più tardivo dei quali mi vede come collaboratore. Che cosa li accomuna, a parte il giorno? La creatività.
Alle 17 si inaugura una mostra su Bohumil Hrabal, grande scrittore boemo (clicca sulla foto). Dalle 19,30, a Metricubi, riparte M’Interest (clicca sul poster by StufioFludd).

hrabalSono un estimatore del sole nei ristoranti all’aperto, un bevitore della luna che si specchia nel selciato bagnato, cammino eretto e diritto, mentre mia moglie, a casa, benché sobria, fa atti mancati e barcolla, una descrizione piena di humour dell’eraclitiano panta rei mi scorre alla gola e tutti i ristori del mondo sono come un gruppo di cervi agganciati per le corna dei discordi, la grande scritta Memento mori che alita dalle cose e dai destini umani è un motivo per bere sub specie aeternitatis… (QUI il testo completo)

 

 

Essere artigiano, qualunque lavoro si faccia, vuol dire minterest2_spensare a quanto puoi crescere migliorando le tue abilità, ed avere tutto il tempo che serve per riuscirci. Questo non dipende solo dalla motivazione, che è importante ma non sufficiente, ma dal contesto organizzativo, che deve essere favorevole e valorizzare le persone, investendo su di loro a lungo termine. Invece nelle aziende il focus è brevissimo. Il modello artigiano del passato ci insegna una cosa importante: il senso del tempo. Per diventare maestri ai tempi antichi ci volevano anni. (da un’INTERVISTA a Richard Sennett)

 

 

 

lui, lei e Socrate

Sapete, Pipsi, la mia vita, che cos’è questa mia vita? Io sono così contento di esistere, di essere al mondo, che qualsiasi cosa bella io veda, subito la sposo, io sono innamorato non solo delle persone ma anche delle cose, del lavoro, ah come mi è piaciuto fare di tutto, mi è piaciuto fare l’assicuratore, mi è piaciuto fare il capomovimento, come mi è piaciuto andare al lavoro là allo stabilimento metallurgico Poldi…ah! ogni barra dell’acciaieria, ognuna aveva impressa nell’acciaio una bella testolina femminile, la testina col ricciolo bruciacchiato dalla stella, sapete, Poldinka si chiamava quell’ebrea che il direttore dello stabilimento amava tanto, al punto da far incidere quella testina sullo stampo e così quella testolina amata va ancor oggi in giro per il mondo in ogni barra… lo sapete che avete lo stesso profilo di quella Poldinka? E quando verrete da me al lavoro, guardate pure come sono fiero di pressare la carta, di caricare quei pacchi, come sono felice di essere là precisamente dove sono. Perché la vita non è affatto una valle di lacrime ma gioia nuziale e festa nuziale, per questo festeggio i matrimoni in questa casa e voglio bene agli zingari tanto che a certa gente do fastidio… (p. 71).

Mi meravigliai per come mi era potuto accadere di vedere cose, persone, alberi così belli, di cui non mi ero mai accorta, non che non ne avessi avuto il tempo, fino a quella domenica camminavo come una tonta, sempre testardamente dentro i miei guai, neppure da ragazza mi ero accorta di quanto sono belli gli alberi, di quanto sono gradevoli i cespugli e le foglie su di essi, di quanto sono belle le aiuole di fiori, e anzi non mi ero mai accorta, solo lì, di quanto è bella la verdura che donne grasse annaffiano unicamente vestite, sopra il corpo nudo, di enormi grembiuli che non si usano più. Aveva trasformato ogni cosa per me proprio quella persona che procedeva accanto a me come la mia balia, il mio istitutore, quella persona che non aveva bisogno di spiegare, di insegnare nulla e anzi se mi avesse insegnato, per il mio carattere, io sono caparbia come la mamma, non avrei guardato nulla apposta, non mi sarei accorta di nulla, mi sarei intestardita in me stessa, mi sarebbe venuto il naso a patata, mi si sarebbero allagati gli occhi e avrei guardato in terra… ma lui semplicemente procedeva accanto a me, guardava intorno a sé e anch’io guardavo là dove lui guardava e cominciavo a vedere quasi come lui vedeva, non guardai l’orologio, quasi non volevo che il tempo trascorresse per poter procedere sempre così, solo nello spazio percorso dalle nostre persone (pp. 77-78).

(Bohumil Hrabal, Le nozze in casa. Romanzetto femminile. Trad. di Alessandra Trevisan; a cura di Sergio Corduas; Einaudi, Torino, 2006)

E dunque, per concludere, l’amore è tendenza a possedere per sempre il bene.
E io dissi: Dici una cosa verissima.
Poiché l’amore consta sempre in questo – continuò – secondo quale condotta e in quali attività l’impegno e lo sforzo di chi mira ad esso, possono essere chiamati con il nome di amore? Qual è questa attività? Sei capace di dirlo?
Se lo fossi, Diotima – risposi – non ti ammirerei tanto per la tua sapienza e neppure verrei da te per apprendere queste cose.
Te lo dirò io. E’ un partorire nel bello secondo il corpo e secondo l’anima (p. 107).

(Platone, Simposio. O sull’Amore. Intr. di Umberto Galimberti; trad. e cura di Fabio Zanatta; Feltrinelli, Milano, 2006)