Elogio della fragilità

elenaEdera

Questo nostro tempo complesso sembra chiederci eroismo e sacrificio.
Avere la soluzione, governare il caos, vincere la crisi, non perdere l’informazione, essere all’altezza delle aspettative, sapere educare sempre, conservare occhi asciutti “nella notte triste”.
E se ci venisse chiesto invece di lasciar essere? Di resistere custodendo qualcosa d’altro, di minoritario, invisibile, sussurrato?
Se questo tempo ci chiedesse invece di affrontare il nostro limite, di condividere la nostra insufficienza? Se questo nostro tempo ci invitasse a chinarci sulle gioie e i dolori di chi proprio adesso è accanto a me?
C’è un filo che ci lega e noi non vogliamo vederlo; ci scostano lo sguardo altrove. Ma seguirlo, per quanto esile, è vitale.

Così ho provato a sintetizzare il senso dell’incontro con IVO LIZZOLA nell’ambito della Scuola del Legame Sociale, sabato 16 marzo prossimo venturo.
(foto di Elena, dal suo blog – clicca su di essa)

 
Aggiornamento video del 23 marzo 2013.

Polemos è padre di tutte le cose (Eraclito)

Mons. Sudar sarà ospite di Macondo il 12 marzo per una testimonianza profetica: ha vissuto la tragedia dei Balcani negli anni novanta e viene per parlare di relazioni che salvano e di relazioni che tradiscono.
macondo12marzo
Qui sotto, un’intervista di Giovanni Panozzo a mons. Pero Sudar, a Giuseppe Stoppiglia presidente di Macondo e a Cinzia Tarletti, cooperante internazionale in Bosnia

Anch’io m’interest

Venezia che muore, Venezia poggiata sul mare…
Chi dice che Venezia è morta? Guccini ama istillare nostalgie.
Questa iniziativa (vedi poster qui sotto, clicca per ingrandire) del circolo Arci METRICUBI di Venezia dimostra che di morta c’è solo la voglia di fare, e precisamente di tutti coloro che usano Venezia come macchina spremi-studenti o gabba-turisti. Ma come sempre, a guardar bene, c’è traccia di resistenza sotto la linea dell’acqua alta; ci sono forze vive che s’intrecciano e creano mescolanze prodigiose.
Venezia non è feticcio. Venezia è sempre meticcio.

MINTEREST_programma_A3PS. ci sono anch’io, il 30 aprile.

Io ho firmato “Riparte il futuro”

firma per ottenere trasparenza

e impegno contro la corruzione

La corruzione è uno dei motivi principali per cui il futuro dell’Italia è bloccato nell’incertezza. Pochi in Europa vivono il problema in maniera così acuta (ci seguono solo Grecia e Bulgaria). Si tratta di un male profondo, fra le cause della disoccupazione, della crisi economica, dei disservizi del settore pubblico, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali.

Il prossimo 24 e 25 febbraio verremo chiamati a eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento. È il momento di chiedere che la trasparenza diventi una condizione e non una concessione, esercitando il nostro diritto di conoscere.

Per questo domandiamo adesso, a tutti i candidati, indipendentemente dal colore politico, di sottoscrivere 5 impegni stringenti contro la corruzione. Serviranno per potenziare la legge anticorruzione nei primi cento giorni di legislatura e per rendere trasparenti le candidature.

Giovanni Realdi, 39a, varie – Riparte il futuro.

AGGIORNAMENTO del 6 marzo 2013: ecco i parlamentari aderenti.

dalla rete della Rivoluzione Solidale

Che di per sé non va confusa con la posizione di Ingroia, che si chiama Rivoluzione Civile. Si tratta di alcuni contatti interessanti a partire dal movimento della società civile; per la precisione: due appuntamenti e tre link.

UNO. «Federsolidarietà Veneto è l’organizzazione che rappresenta quasi il 70% delle cooperative sociali nella nostra regione, conta 464 cooperative iscritte, con 18.000 addetti e oltre 23.000 soci. Inserisce al lavoro 1.820 persone svantaggiate. Offre servizi specializzati alle fasce più deboli (persone con disabilità e disagio psichiatrico, con percorsi di tossi- codipendenza o reclusione, emarginate o povere, bambini, anziani, donne vittime di tratta o di violenza) e assiste le loro famiglie». il 26 gennaio p. v. propone una MOBILITAZIONE GENERALE DEL TERZO SETTORE, a Venezia, Pala Taliercio, a partire dalle 8,30. Alle 11,30 inizierà la sfilata pacifica sul Ponte della Libertà.

siamoilsociale

DUE. dottClownIl 9 febbraio p.v. la associazione Dottor Clown di Padova espone in un convegno il bilancio dei suoi primi dieci anni di attività, centrati su questo “sogno”: «un ospedale pediatrico dove il bambino possa sentirsi al centro dell’attenzione e dove ci sia ampio spazio per la comicità e le emozioni» (dal SITO).

TRE. Il progetto PAGELLA POLITICA è una delle espressioni di un atteggiamento (e metodo) diffuso da tempo nei paesi anglosassoni e che si chiama FACT-CHECKING. Si propone cioè di raccogliere le principali dichiarazioni di politica (rilasciate attraverso qualsiasi mezzo) e contenenti fatti verificabili per confermarle o smentirle anche a mezzo dei naviganti in Rete.

QUATTRO. Un gruppo di persone che, come molti invece silenti, è stufa della corruzione (e come fatto, e come mentalità) ha dato vita alla PETIZIONE di cui si parla in questo sito. L’iniziativa è correlata a e sostenuta da Libera e Gruppo Abele, garanzie di trasparenza; si richiama esplicitamente a questa campagna del 2011.

Bob_Verschueren_-_Copyright_Arte_Sella_2012_-_Foto_Giacomo_Bianchi

CINQUE. GIANNI BELLONI è amico e giornalista. Se la categoria non fosse resa inaffidabile dai vari sessantottardi che poggiano il deretano nei salotti in TV, lo definirei proprio un intellettuale, il dotto sette-ottocentesco che osserva l’andare delle cose e, senza indurre opinioni, offre invece descrizioni efficaci capaci di creare opinioni stesse nella testa di chi legge/ascolta. Questo è il suo BLOG , intitolato “corse in salita” (e a me viene in mente il Sisifo di Camus). Questo è uno dei suoi progetti, il Laboratorio dell’Inchiesta Economica e Sociale (LIES). Nell’immagine, l’interpretazione di Sisifo di Bob Verschueren, in Arte Sella.

Amore e follia al tempo degli Olmos

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O vero
«Qualcosa di misterioso accade in quei momenti»

L'”anello che non tiene” punteggia alcune fasi della poetica di Eugenio Montale, per poi lasciare il passo ad altro, talvolta evanescente, talvolta solido. Correlativi oggettivi. Questo romanzo di Ernesto Sàbato, Sopra eroi e tombe, al contrario, sembra costruito interamente sui particolari precari che uno sguardo sul mondo, fondato sull’esperienza – e non sull’apparente ingenuità di Martìn del Castillo, uno dei coprotagonisti -, coglie nelle esistenze che intorno crollano.

aperte

Giacché non bastano, pensava, le ossa e la carne per costruire un volto ed è per questo che il volto è la parte infinitamente meno fisica del corpo, fatto di sguardo, di contrazioni della bocca, di pieghe, di tutto quell’insieme di sottili attributi attraverso i quali l’anima si rivela nel corpo»

I fatti che costituiscono la sostanza della narrazione talvolta sfuggono, quasi si trattasse di più opere messe insieme. Ciò che conferisce compattezza al tutto è l’indagine dell’animo umano, o della sostanziale inesistenza della normalità. Martìn è costretto all’angolo della vita da una “madre-fogna”, un abbandono lacerante, il medesimo vuoto che fa vibrare le sue corde all’avvicinarsi di Alejandra. La vediamo parlare ed agire, ma è la sua assenza a risultare macigno ingombrante, non evitabile, né scavalcabile. E del resto il vuoto abita anche questa giovane donna, che – forse per un solo istante – trova nel ragazzo un appiglio, uno specchio.

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Ma vedendo le sue lacrime, le sembrò di capire che non era una risata ciò che aveva udito ma, come sosteneva Bruno, quello strano suono che certi esseri umani emettono in occasioni insolite e che, forse per la limitatezza della lingua, ci lasciamo andare a definire come riso o pianto»

Lo sguardo sulle vicende è distaccato, e potrebbe essere proprio quello filosofico di Bruno, amico-rifugio di Martìn, quasi padre. Come una nottola di Minerva, che osserva dall’alto senza poter intervenire. Che la sua sia una rinuncia, per quanto giustificata e giustificabile dal punto di vista teorico, apparirà chiaro quando finalmente, nella seconda parte del libro, avremo qualche notizia su di lui.

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Saremmo così duri con gli altri, si chiedeva Bruno, se ci rendessimo conto veramente che un giorno devono morire e che niente di quello che abbiamo detto loro si potrà più modificare?»

Perché anche Bruno ha a che fare con questa antica famiglia, gli Olmos, intrecciata con la storia dell’Argentina e, di necessità, con i suoi abitanti, fieramente sudamericani e nello stesso tempo fieramente europei come i loro antenati. Gli avi di Alejandra sono spettri anche quando continuano ad abitare le stanze della villa, il luogo del mistero che apre e chiude la vicenda, ma che non è altro che l’abisso della mente umana. E’ la psiche, nelle parole di Sàbato, a farsi veramente gotica. E Martìn è perso nella sua propria cattedrale.

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La notte, l’infanzia, le tenebre, il terrore e il sangue, sangue, carne e sangue, sogni, abissi, abissi insormontabili, solitudine solitudine solitudine, tocchiamo ma siamo soli. Era un ragazzo sotto una immensa cupola, nel mezzo della cupola, in mezzo a un silenzio terrificante, solo in quell’universo gigantesco»

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Alejandra rifiuta Martìn, perché rifiuta il suo amore, non in quanto tale, ma perché esempio di possibile amore. Alejandra sa di non poter meritare amore, per un imperativo categorico che vive nella sua carne. Martìn potrà sì toccarne la pelle e il corpo, ma è tutto quello che lei può dare, anche contro se stessa. Anzi: proprio contro se stessa.

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E Bruno, non Martìn, di certo, Bruno pensò che in quel momento Alejandra pronunciava una preghiera silenziosa ma drammatica, forse tragica, e che quella preghiera era rimasta inascoltata»

E’ in questo spazio, tra il drammatico e il tragico, che prende posto Sàbato: il dramma sta nelle anticipazioni, negli indizi sparpagliati, nelle cose che prima intuisci e poi ti vengon chiare; persino nella scelta di tracciare capitoli brevissimi, come se anche qui, in alcune decine di righe, si risolvesse un destino. Il tragico, come spazio dell’assenza-di-spazio, come svolta inaudita, voragine dell’insensatezza, è sempre di là da venire, eppure accade.

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E se l’angoscia è l’esperienza del Nulla, qualcosa come la prova ontologica del Nulla, non sarà forse la speranza la prova di un Senso Occulto dell’Esistenza, qualcosa per cui vale la pena lottare? Ed essendo la speranza più forte dell’angoscia non sarà che questo Senso occulto è più vero, per così dire, del famoso Nulla?»

La lotta contro l’angoscia lascia feriti sul campo e dispersi nella terra di nessuno: sono i folli. Come la tanto insensata quanto eroica cavalcata degli uomini del generale Lavalle, del quale giovanissimo portabandiera è Caledonio Olmos, al fine di difendere il cadavere dell’alto graduato dal disonore, eroica e insensata è l’indagine di Fernando Vilas Olmos a proposito di un presunto complotto mondiale ordito dai ciechi. Come l’impresa militare punteggia l’epilogo del romanzo (ma era stata già evocata nella casa degli Spiriti), l’intera Parte Terza è dedicata al fantomatico “Rapporto sui ciechi”, autentico esempio di Schwermerei. L’eroismo nel conflitto con l’angoscia, la ricerca affannosa della luce, la fuga dai fumi della putrefazione: tutto degli Olmos parla in questi termini epici. L’epica della follia, unico luogo rimasto.

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Avrei desiderato che mi chiudessero in un manicomio per riposare, visto che lì nessuno ha l’obbligo di conservare la realtà come ufficialmente si pretende che sia. Come se lì uno potesse dire (e certamente lo dice): e adesso, che s’arrangino»

Bruno annusa la psicosi di Fernando da vicino, e come il suo “protetto” Martìn anni dopo, ne rimane invischiato per amore di una Olmos, Georgina. Ma a differenza del giovane sperduto, Bruno si salva con l’ideologia e il pensiero anarchico, che lo portano fuori, dalle patologie di una casata famigliare, a quelle della società borghese capitalista. Passata l’adolescenza e i suoi nostalgici amori, solo la purezza dei teorici della rivoluzione, o la pazzia di Fernando, riescono a smuoverlo.

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Mio Dio, è possibile trovare esseri umani veramente puliti, se non nei territori, quasi alieni dalla condizione umana, dell’adolescenza, della santità e della follia?»
(…) Ecco una delle grandi contraddizioni della nostra formazione, che finì per scavare un abisso fra noi e la nostra patria: volendo indagare la nostra realtà abbiamo finito per perderci in un’altra. Ma cos’è in
definitiva la nostra patria se non una serie di alienazioni?

Come se realmente l’alienazione dello sfruttato, in termini marxiani, non sia una metafora – o lo sia solo parzialmente: “alienato” è anche tecnicismo psichiatrico e i resti del meccanismo divoratore che costituisce la normalità della vita borghese non sono solo operai e immigrati, ma altrettanto decisamente coloro che perdono il senno, o il senso.
Sàbato, come Pessoa per altri versi e tutta la letteratura come si dice esistenzialista, guarda alle crepe della quotidianità come ad indizi della fine di un mondo: non si tratta di eccezioni su cui passare in fretta, ma carotaggi ontologici. E’ il mondo a cavallo tra ‘800 e ‘900, di cui le guerre mondiali non sono che espressione pandemica e le lotte per l’indipendenza prodromo. Le parentesi aperta e chiusa attorno all’idea di patria e probabilmente la fine della paternità (cioè del senso dei sensi) come la si conosceva.

aperteNon era arrivato il tempo in cui si impara che niente dovrebbe stupirci negli esseri umani, e che se è vero, come afferma Platone, che la saggezza nasce dallo stupore, non è meno vero che lo stupore muore con la saggezza».

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[Le immagini che corredano il testo sono tratte da ELIBRA. Grazie ad Elena.
«Come se quegli oggetti non fossero che ponti tremanti e transitori (come le parole per il poeta) per colmare l’abisso che si apre fra noi e l’universo» E. S.]

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Con questo filmato, porgo a tutti i migliori auguri per un Natale quanto mai pregno di contraddizioni. L’Occidente si dice in crisi e molte persone lo sanno, perché non hanno lavoro o non arrivano alla fine del mese. Ma coloro che percorrono i negozi hi-tech di Padova sono dispiaciuti perché non hanno trovato il gingillo che desideravano… Tutti esauriti. Tra di loro, alcuni sapranno serenamente farne a meno, e si sentiranno un po’ strani; molti invece non hanno idea di cosa succeda fuori dal proprio naso/cuore/testa. E allora si regalino per Natale qualche minuto di Report o un abbonamento ad Internazionale. Qui non si tratta di attendere la venuta di Qualcuno, ma altrettanto decisamente il Suo ritorno, che non avverrà in assenza di giustizia. E portino pazienza coloro per i quali queste parole non hanno senso.

 

OdC: la legge e le vite

Il sito unimondo ci ricorda una ricorrenza importante, quella dei quarantanni della legge sulla obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, fiore nato dall’humus culturale e civile del secondo dopo guerra (alcuni nomi: Lelio Baso, La Pira, Balducci, Milani). , Relatore Giovanni “Albertino” Marcora partigiano cattolico.

«Gli obbligati alla leva che dichiarano di essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza possono essere ammessi a soddisfare l’obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla presente legge.
I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto.
Non sono comunque ammessi ad avvalersi della presente legge coloro che al momento della domanda risulteranno titolari di licenze o autorizzazioni relative alle armi indicate rispettivamente, negli articoli 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza o siano condannati per detenzione o porto abusivo di armi»

donMIscrive

Il servizio civile obbligatorio sostitutivo divenne non solo espressione di uguaglianza sostanziale, come dalla lettera costituzionale, ma occasione per migliaia di giovani di veder cambiata la propria esistenza. Anch’io sono tra di essi: la mia esperienza presso Caritas di Padova è stata a posteriori decisiva per il modo con cui oggi cerco di fare l’insegnante. Non mi riferisco a buonistici pressapochismi su “quanto i poveri abbiano da insegnare”, ma proprio al fatto che le persone e gli eventi che mi vennero posti di fronte mi chiesero – con la dolcezza della realtà immodificabile – di cambiare me stesso, in meglio. Obbedire dunque, ma alla “fertile bassura dell’esperienza», delle cose così come stanno.

Scrissi allora e penso tuttora:
Che cosa è PROGETTO MIRIAM? Molto in pratica, è un casa di accoglienza. Per chi? Per ragazze e donne straniere che sono uscite dalla tratta per prostituzione. Qui si trova subito una grande differenza che ho scoperto lì: una cosa è la TRATTA, un’altra è la PROSTITUZIONE. Una cosa è vendere una certa serie di servizi con il proprio corpo, in modo libero, come scelta, altra cosa è essere ridotti in schiavitù e costretti a battere. Non dico che una cosa sia più giusta o più facile dell’altra, dico che sono diverse.
LA STATISTICA dice: di 100 prostitute, 80 sono CONDIZIONATE, 20 sono sex-workers. Di queste 80, il 30 per cento è costretto sotto schiavitù a prostituirsi. L’altro 70 p.c. lavora per strada perché non ha un giro migliore e forse si prostituirebbe anche altrove.
Vedete: al Miriam ci sono tre suore, che curano i diversi aspetti della casa e dell’organizzazione, progettuale e pratica, dell’attività. Hanno la consapevolezza che ci sono donne che scelgono di, come si dice, “fare la vita” e che ci sono uomini che vanno con queste donne. Da parte loro non ho mai sentito un giudizio moralistico su queste cose, un giudizio che dica: è sbagliato vendere il proprio corpo e comprarlo per denaro. Che magari è una cosa che ci si aspetterebbe da una suora. Altra cosa è la TRATTA. Che cosa significa essere costretti a prostituirsi, essere sottoposti a violenza quotidiana io non lo so fino in fondo, perché non l’ho provato sulla mia pelle, perché non sto dentro il cuore e la testa delle ragazze che ho incontrato. Sono stato accanto a queste persone, sono stato utile a loro per cose molto pratiche e ho avuto la fortuna di essere stato in ascolto di queste persone. Che cosa vuol dire “credere di sapere e invece non sapere”? Ero in macchina con una ragazza dell’Est, ci trovavamo dalle parti dell’Ospedale. Forse era contenta perché si aperta una possibilità di lavoro, finalmente, e di un lavoro che le piaceva. Insomma raccontava di sé e della sua esperienza: di come era arrivata in un furgone dal suo paese, di come le avessero spiegato che la strada era il lavoro che doveva fare, di come fosse sempre chiusa in casa, dovesse subire violenze dal boss, non potesse uscire se non accompagnata dalle dieci alle quattro di mattina in via del Plebiscito o giù di lì, a battere. E io – preso dalla guida della Uno scassata delle suore – mi perdevo nei miei pensieri, che da bravo studente di filosofia, erano sulla libertà, sulla mancanza di libertà, sul rispetto dell’uomo… Quasi leggendomi nel pensiero, durante il racconto, lei mi fa: perché, in quei momenti, quando ti fanno violenza, quando ti menano, non dici: vorrei essere libera, il tuo pensiero non è la libertà, con la ELLE maiuscola, direi io, ma: smettetela di farmi del male. Preghi perché non ti prendano a pugni, non pretendano che tu gliela dia con la forza, non ti lascino segni sul volto, sul corpo, non ti facciano uscire sangue dal naso… Capite il salto? La differenza? Io viaggiavo con la testa fra concetti, magari giustissimi. Lei SENTIVA queste cose sulla pelle.

Grazie a quella legge, ho potuto aprirmi alla realtà, ho scardinato i portoni delle bambagie parrocchiali e guardato in faccia i turoldiani “grumi neri di sangue” che gridano vendetta al Signore. E imparato a leggere la mia storia come storia di segni (qui sotto: il pozzo, tratto dal Piccolo Principe, che usammo al tempo come simbolo del lavoro a Progetto Miriam, richiamandoci all’episodio evangelico della samaritana).

pozzetto2 copia

E adesso, dopo 40 anni, due osservazioni a posteriori di quella legge, ormai inutile (la leva obbligatoria non c’è più):
a. perché non pensare ad un servizio civile obbligatorio per maschi e femmine, dopo la scuola superiore? QUI uno spunto.
b. esiste un uso strumentale dell’obiezione di coscienza (quindi in senso lato) in ambito sanitario? Un uso condizionato della libertà personale di operatori medici che accettano di rifiutare la pratica dell’IVG per – ad esempio – mantenere il posto? QUI, QUI, QUI e QUI ampi dati per alimentare il dibattito.