Educazione e nichilismo

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Questo l’incipit di un bell’articolo di Michele Visentin
(segue il mio commento, per avviare un dialogo, sebben con terze persone):

L’azione educativa e in particolare quella che si integra con l’istruzione scolastica riposa ancora oggi su questo presupposto che  viene dalla tradizione e che stabilisce un nesso tra l’attività conoscitiva e la trasformazione di sé. Questa relazione sancisce più che altro una dipendenza e una derivazione della formazione dal pensiero e, si potrebbe dire, dal retto pensiero. Da qui deriverebbe l’intera paideia occidentale, ovvero l’idea che l’umanità realizzata di ogni singolo essere umano, sia direttamente proporzionale alla sua capacità di conoscenza e di conoscenza di sé.

L’educatore deve tentare il tutto per tutto. Cioè deve tentare in bilico sulla sconfitta. Il discorso nichilista incide sullo spazio e sul tempo, creando un contesto in cui l’istituzione, da luogo in cui avvenga l’evento educativo (come setting, quasi), diventa struttura di pratiche ripetitive, che conservano il sistema così come si trova.
Lo spazio è di fatto modellato sulla fabbrica tayloristica, per quanti colori o cartelloni possiamo appendere; si tratta di una scatola contenente scatole più piccole, ognuna delle quali con uno scopo predeterminato. Non è con l’attribuzione di un’aula ad aula multimediale (cioè con uno schermo e una LIM) che modifichiamo il senso dello spazio.
Il tempo, anch’esso industriale, costringe a segmenti mentali; crea serrande tra un’ora e l’altra, che chiudono emozioni e conflitti (apparentemente).
La formazione scolastica ha rinunciato all’educazione, perché l’educazione non ammette spazi o tempi prederminati. Eppure l’incontro avviene lo stesso, perché l’evento educativo supera spazi e tempi predeterminati. Avviene, tuttavia, nella frustrazione. Se non addirittura nella clandestinità, poiché l’istituzione chiede controllo e autocontrollo.

4 risposte a “Educazione e nichilismo”

  1. Il discorso che lei fa può essere condivisibile o meno. Io in linea di massima lo condivido, ma il punto non è questo. Il punto è: cosa si intende veramente con “educazione”? Maturazione? Di cosa? Del senso critico, del senso di responsabilità, del come non cadere nelle trappole di santoni e ciarlatani? Perché un sistema scolastico come quello odierno non è compatibile con questo?

    Io le chiedo una cosa che finora non ho ancora capito: secondo lei, cosa vuol dire educare una persona, nella fattispecie un ragazzo? Quand’è che l’istruzione scolastica fallisce? E come sta fallendo quella di oggi?

    Recentemente ho letto degli articoli che spiegano come il livello di istruzione superiore italiano sia tra i peggiori in europa per il semplice fatto che i docenti non sono abbastanza severi e alla maturità c’è una percentuale di bocciati troppo bassa. Questo lascerebbe intendere che l’istruzione fallisca già nel processo di formazione dell’attività conoscitiva.

    Sono d’accordo con lei che il problema non è solo questo. Eppure, io ho vissuto in Germania e negli ultimi anni ho visitato più o meno a lungo almeno una quindicina di paesi diversi, e ho frequentato persone delle più svariate nazionalità (ovviamente sono conscio del fatto che lei avrà visto il mondo ancora meglio di come l’ho visto io. Voglio solo raccontare la mia personale esperienza). Le posso assicurare che la forma mentis del ragazzo italiano medio non è assolutamente diversa da quella di un qualsiasi adolescente di qualsiasi parte del mondo, almeno, così mi pare.

    I modi per migliorare l’istruzione italiana potrebbero essere tantissimi, ma secondo me occorre prima cercare di centrare bene il problema. Mi spiego: se cerchiamo di concentrare la nostra attenzione sulla trasformazione e la maturazione dell’alunno, e però questo resta ignorante come prima se non di più, questo a parer mio non risolverebbe il problema. Quello che, nella mia modestia opinione, andrebbe fatto è cercare di tenere l’approccio attuale, ma cambiarne il punto di vista. Mi spiego: quello che si sta facendo adesso è, generalizzando, riempire dei secchi vuoti. Si dice che in realtà educare vuol dire accendere il fuoco. Vero, ma oltre ad accenderlo, bisogna anche insegnare a tenerlo vivo.

    Senza usare più metafore, che alla lunga disorientano, direi questo: l’educazione dovrebbe concentrarsi su un sapere che aiuti effettivamente i giovani ad affrontare il mondo. In ogni senso, anche negli aspetti profondi. Gli si deve insegnare che una tragedia personale può sempre accadere, anche se si è bravi e buoni, non perché il disegno di dio è intricato e non lo capiamo, ma perché la realtà è cinica e non tiene conto dei nostri bisogni. Bisogna insegnare loro che scrivere un tweet con una croce celtica non è libertà di parola, ma un’idea poco felice e basta (nonché reato costituzionale), e può significare licenziamento per giusta causa. Bisogna insegnare loro che sinx e cosx non sono cose strambe che non servono, ma che aiutano un padre di famiglia ad arredare la sala da pranzo, e che lo studio del comportamento dei fluidi può far risparmiare 150€ di idraulico. Bisogna insegnare loro che è inutile perseguire una strada per la quale non si è portati e che l’impegno non paga, perché il mondo vuole l’eccellenza e la buona volontà con scarsi risultati non è premiata. Esagerando, si dovrebbe anche insegnare a curare il proprio aspetto (anche se in questo gli adolescenti non sono certo carenti) perché nel relazionarsi agli altri è importante anche questo.

    Soprattutto, quello che sento che manca molto, sono gli esempi positivi. Viviamo nel mondo del pessimismo, dove tutto sembra andare storto. Persino i nostri nonni, che vivevano con il terrore che da un momento all’altro gli piombassero i tedeschi in casa per fucilarli, dicono che ai loro tempi si stava meglio (forse semplicemente perché erano giovani). Eppure, ora si sta meglio, dai! I cellulari con Internet non sono il demonio, non sono la morte della socialità ma il picco di questa. C’è tanto da migliorare ancora, ma diciamo che stiamo progredendo, più lentamente di quanto sarebbe necessario, ma stiamo progredendo. Questo è stato grazie a persone, istruite (in modo convenzionale e non) che possono e devono funzionare da buon esempio, che faccia pensare ai giovani “lui ha migliorato la sua vita e le altre. Devo esserne capace anch’io”.

    Le generazioni di studenti di oggi sono molto influenzabili, ma anche molto scettiche: se non vedono un’utilità pratica delle nozioni che apprendono, non credono che questa esista. E’ lì che gli insegnanti potrebbero, tanto per cominciare, insistere di più.

    Mi scusi la prolissità del post.
    Se lei è al DB il 31 Gennaio, ci si vede lì.
    un saluto
    Fede

    1. Ciao Fede, commento lungo e (come sempre sei) estremamente puntuale. Vado per punti (non con risposte, ma con un tentativo di dibattito anche per terze persone)

      Scrivi:
      “il livello di istruzione superiore italiano sia tra i peggiori in europa per il semplice fatto che i docenti non sono abbastanza severi e alla maturità c’è una percentuale di bocciati troppo bassa”
      Esiste è vero questo dato. Dal quale per altro il Nordest si scosta un po’, in meglio. Non so se sia questione di severità. Io penso sia di sostanziale incompatibilità tra il modo con cui la classe docente – anche i più giovani tra i giovani – sia stata formata e l’evoluzione di quella che anche tu chiami la forma mentis. Tralasciando cioè i ca++oni, sia tra prof che tra ragazzi, per il resto c’è un tentativo da parte dei primi di star dietro con una bici ad un’auto. E la differenza di velocità non è nell’intelligenza, ma nel modo (a livello neuro-qualcosa e psicologico) di star di fronte al mondo.

      Scrivi:
      “l’educazione dovrebbe concentrarsi su un sapere che aiuti effettivamente i giovani ad affrontare il mondo. In ogni senso, anche negli aspetti profondi…” (taglio, ma gli esempi sono calzanti).
      Siamo immersi ancora in una modalità di tipo medievale – e io amo il medioevo! – secondo cui il possessore del sapere lo riversa nell’otre vuoto. Accendiamo fuochi, certo: ma non come sistema. Se mai, come singoli docenti, che riescono a stare di fronte a questi gruppi di ragazzi e ragazze, rinunciando al potere del sapere. Tener vivo il fuoco: parrebbe siano le competenze, che dovrebbero sostituire le conoscenze. Bel tentativo. Peccato che nessuno di noi docenti è stato formato a:
      – capire quali strategie sta mettendo in atto quando studia/impara
      – capire quali strategie sta mettendo in atto quando spiega
      – cogliere le competenze di default nei ragazzi
      – decidere insieme ai colleghi una competenza su cui lavorare
      – correlare competenze e bagaglio nozionistico
      – etc etc.
      Tre titoli (quasi a caso):
      Richard Sennet, L’uomo artigiano
      Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci
      Alessandro Baricco, I barbari (con beneficio di inventario)
      Chi tra noi docenti li ha letti?
      Chi ne vorrebbe parlare, aprendo gruppi di discussione?
      Chi ha approfondito aspetti delle neuroscienze utili a modificare le strategie? O solo a riconoscere le proprie?

      E ancora: come è possibile che in una fase storica in cui i contenuti sono a disposizione di TUTTI e GRATIS, noi siamo ancora qui a decidere quale manuale e come?
      Dicono: eh però, così non leggono più. Ma chi sa che sarà davvero così? Non è che “Non leggono più” perché leggere è adesso operazione da effettuarsi sotto minaccia?

      Mi rendo conto – penso – di aver solo ripetuto cose che tu hai scritto. E il fatto che tu abbia ascoltato e dialogato con me in classe mi rende un po’ più sicuro che – migliorando – la strada è quella giusta. Ma ancora una volta: non il sistema.
      Un nuovo sistema? Potrebbe individuare 4 o 5 materie obbligatorie e poi lasciare le altre a scelta – a seconda delle competenze del collegio docenti – da seguire in ordine all’accumulazione di crediti. Potrebbe costruire con i ragazzi i manuali. Potrebbe chiedere a lavoratori e imprenditori di entrare in classe. Potrebbe…

      grazie
      giovanni

  2. Ce n’è da discutere…
    Ho cercato di leggere…
    un po’ in fretta perchè il tempo “è sempre quello”: poco!
    Ma colgo che “m’interessa”…
    Caro Giò, magari esiste già e tu illuminami, ma se non esiste…perchè non creare un gruppo di docenti (e alunni: magari!) tra cui trovarsi “faccia a faccia” e non “computer a computer” e parlare di tutto questo e altro; ma attento bene: non “parlare per il gusto di parlare o parlarsi”, ma parlare per cercare una strada, una strada dove educazione e docenza s’incontrino…oggi.

    1. Caro Nic. Non so se esiste nella realtà, forse sì. Ma nella mia fantasia esiste da un pezzo. Sento (penso come te) l’esigenza di guardarsi e di chiederci non cosa dobbiamo fare ma dove desideriamo andare, dai piccoli sino ai grandi. Nic, facciamolo! Ti abbraccio

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